ACCEPT
di
Massimo Salari
L’Heavy Metal essendo un genere musicale prettamente di culto,
si sa, o lo si ama o lo si odia, ma nessuno e ripeto, nessuno, può
ritenersi un cultore del genere se almeno una volta nella vita non
ha ascoltato la storia che i tedeschi ACCEPT hanno saputo narrarci.
Come avrete intuito stiamo parlando dell’Heavy Metal quello
più puro, anche se privo dei proclami di originalità
DOC tanto decantati dai maestri Manowar.
La Germania nei primi anni ’80 ha elargito molto alle orecchie
del “metallaro” (nome oggi curiosamente quasi in disuso),
sempre attenta all’evolversi delle tendenze ma anche molto rigorosa
nelle basi. Gli Accept sono il sunto di questo stile.
La NWOBHM imperversa, ma anche band storiche emergono alla grande
come ad esempio gli AC/DC. Giovani amanti del genere si lasciano influenzare
da questi, ma anche da altri musicisti come i Judas Priest ed i Black
Sabbath. Fra questi giovani ci sono Udo Dirkschneider (voce), Peter
Baltes (Basso), Wolf Hoffmann (chitarra), Jorg Fischer (chitarra)
e Frank Friedrich (batteria), il primo nucleo degli Accept.
Una delle caratteristiche del gruppo risiede proprio nella voce particolare
di Udo, roca, sgraziata e acida, simile a quella di Brian Johns degli
AC/DC, tanto per intenderci. La particolarità del look che
invece contraddistingue il gruppo dagli altri numerosi esordienti
di questo periodo risiede nella divisa da nazista del cantante stesso
e dalle famose chitarre Flying V della micidiale coppia Hoffmann-Fischer.
Ma che musica fanno questi tedeschi? Fanno un Power Metal massiccio,
pesante sennonché ricco di ottime melodie, carta vincente assieme
a grandi riff chitarristici.
Dotati di una tecnica sopra la media, nascono nel 1978 ed esordiscono
discograficamente nel 1979 con l’omonimo “Accept”
(Metal Masters). Questo disco d’esordio pecca ovviamente di
esperienza, ma malgrado tutto si lascia ascoltare bene e canzoni come
“Streetfighter” e “Seawinds” sono più
che orecchiabili. Quest’ultima è una semi- ballata e
fino alla metà degli anni ’80, come i loro più
lontani cugini Scorpions, gli Accept inseriscono nei loro lp almeno
due di queste a disco.
Ovviamente siamo ancora distanti dagli Accept taglienti come rasoi,
ma l’anno successivo, nel 1980 con l’innesto del nuovo
batterista Stefan Kaufmann, la sezione ritmica cambia radicalmente
elargendo potenza e freschezza. Tutto il sound del gruppo ovviamente
ne trae giovamento e la conferma l’ascoltiamo nel successivo
“I’M A Rebel” (Passport Records), disco nettamente
più maturo e leggermente più propenso al Metal che all’Hard
Rock. I brani “No Time To Lose”, “The King”
e l’omonima “I’m A Rebel” sono dei pezzi bellissimi
che da soli valgono l’acquisto del disco.
Chi li segue in diretta ha capito che il gruppo matura velocemente,
non resta che aspettare la terza uscita che generalmente è
la prova del nove. E’ il 1981 e l’Heavy Metal comincia
a fare la voce grossa in tutta Europa, il genere dilaga a macchia
d’olio ed i nostri tedeschi non deludono le aspettative. La
maturazione effettivamente avviene e con “Breaker” (Passport
Records) si delinea il vero Accept-sound. Disco ricco di classici,
un Metal anthemico che non lascia respiro come ad esempio in “Midnight
Highway”, altrimenti “Breaker” o “Starlight”
oppure le drammatiche “Breaking Up Again” e “Can’t
Stand the Night” dove la voce di Udo grida tutta la sua rabbia
. Oppure la devastante “Son Of A Bitch”, il tutto legato
da un invisibile equilibrio di emozioni altalenanti. Ma quello che
si va delineando nello stile del gruppo non è solo il forte
carisma del piccolo Udo ma il lavoro chirurgico delle due chitarre.
I concerti tenuti cominciano a dare i primi frutti, il gruppo ha un
buon seguito in Europa, ma soprattutto in patria. I ragazzi hanno
capito quale è la strada da intraprendere, quella del Power
Metal più massiccio e nel 1982 fuoriescono con il capolavoro
“Restless And Wild” (Heavy Metal records). Ci sarebbero
fiumi di parole da spendere per questo lp che ha fatto la storia del
genere stesso, classici come “Fast As A Shark”, “Restless
And Wild”, “Neon Nights” e “Princes Of The
Dawn” scorrono in ogni cuore di metallaro come plasma vitale.
Fanno parte del DNA metallico stesso. In quest’ultima canzone
fuoriesce tutta la passione di Hoffman per il maestro chitarrista
R. Blackmore. Il successo li colpisce e finalmente diventano meritatamente
gruppo di culto, tanto che anche il regista Dario Argento si accorge
di loro e adopera “Fast As A Shark” per il film “Demoni”.
Il disco esce anche in versione picture per la gioia dei collezionisti.
Udo con la sua mimetica ed i suoi occhiali da sole a goccia è
un vero e proprio personaggio icona. Tutto sembra girare per il meglio,
persino le riviste specializzate del periodo dedicano molta attenzione
al quintetto.
A questo punto, consapevoli dei propri mezzi, tentano la carta americana
arruffianando il sound con un certo tipo di Hard Rock che strizza
l’occhio a certe classifiche. Questo comportamento però
porta il distacco di Fischer e l’ingresso di Hermann Frank.
Il risultato è il buon “Balls To The Wall” (Portrait)
nel 1983. E l’ America è raggiunta, infatti i nostri
intraprendono un lungo tour nel nuovo continente come spalla ai spettacolari
Kiss. Inevitabilmente il sound diventa più melodico, quasi
facendo un piccolo salto indietro nel tempo, ma senza mai sconfinare
nel commerciale più del dovuto. “Love Child” e
“Head Over Heels” sono fra le canzoni più graffianti
del disco, con qualche reminiscenza del passato.
I pezzi degli Accept sono in gran parte diventati degli inni per il
popolo Heavy in generale, e come narravo in precedenza il cuore metallico
batte sempre più forte e questo i tedeschi lo sanno, non a
caso il successivo lavoro del 1985 si intitola proprio “Metal
Heart” (Portrait). A detta di molti, carta stampata e fans,
questo è il loro capolavoro anche se in pratica le vendite
non soddisfano più di tanto. Peccato perché in esso
sono racchiuse delle gemme molto importanti, attimi mai più
raggiunti nel seguito della carriera. Classici come “Living
For Tonight”, “Screaming For A Love Bite”, “Up
To The Limit” e la stupenda “Metal Heart” sono l’ossatura
di un organismo che non ha pari in questo periodo musicale. Il “colonnello”
Udo con il suo gracchiare fa proseliti. Le date ancora una volta si
susseguono felicemente e i risultati vengono immortalati nell’
EP live giapponese “Kaizoku Ban” (Portrait). Nelle fila
del gruppo nel frattempo ecco rientrare il chitarrista Jorg Fisher,
il quale partecipa alle esibizioni giapponesi dei nostri. Peccato
che in questo breve tassello metallico vengano trascurati i brani
di successo degli esordi.
Andiamo a considerare ora la parte più caratteristica del sound
Accept, in questo frangente della metà degli anni ’80
denotiamo sempre di più un avvicinamento alle sonorità
americane a discapito di quelle più grezze degli inizi, tanto
care a noi europei. Ma con questo non si vuole assolutamente sminuire
un lavoro così pulito e potente, a personale modo di vedere,
migliore di quello primordiale.
Non dimentichiamoci però che gli Accept hanno fra le loro influenze
personali i Judas Priest , e cosa ci propinano i maestri inglesi nel
calderone di metallo bollente? Sintetizzatori! Avete letto bene, il
Prete di Giuda con “Turbo” nel 1986 apre un percorso ancora
poco calpestato, quello delle tastiere di accompagnamento. Molti sono
i proseliti, anche se la maggior parte degli usufruitori di allora
gridano al tradimento.
I nostri, incuranti di tutto quello che è parere esterno, si
avventurano in questo percorso minato ed escono nei negozi con il
nuovo “Russian Roulette” (Portrait).
Se andiamo a considerare questo resta l’ultimo capitolo valido
di una band che in qualche modo ha voluto seguire i tempi, canzoni
come “T.V. War”, “Monsterman”, “Aiming
High”, “Russian Roulette” e la bellissima “Stand
Tight” sono testimonianza del ricco songwriting a disposizione
dei tedeschi.
Ma le vendite non soddisfano nella maniera più assoluta, da
qui la necessità di un ritorno alle origini giustificando in
qualche modo quello che il metallaro medio richiede, un suono più
grezzo e diretto.
Udo rompe con i colleghi e cerca di tornare al suo vecchio sound lasciando
gli Accept e formando gli U.D.O. Nel 1988 “Animal House”
chiarisce la posizione presa dal colonnello mostrando uno sfacciato
ritorno ai vecchi suoni Accept. Insieme a lui seguono Stefan Schwarzmann
(batteria) e Thomas Smuszynky (basso), la sezione ritmica tedesca
fra le più massicce dell’Heavy Metal.
La discografia degli U.D.O. nel tempo sembra voler ribadire "gli
Accept siamo noi!". “Mean Machine” ed il distruttivo
“Timebomb” chiariscono ogni ombra di dubbio.
Ma allora il gruppo madre cosa fa? Segue imperterrito la strada più
commerciale americaneggiante? Con l’ingresso del nuovo cantante
americano David Reece sembra proprio di si. “Eat The Eat”
(Epic) del 1989 è un disco veramente fiacco, le date incominciano,
ma i successi sembrano un ricordo lontano, tanto che in una serata
addirittura Peter Baltes e Reece arrivano alle mani!
La nostalgia di certi momenti è comune, sia da parte del gruppo
che del pubblico così nel 1990 gli Accept pensano bene di far
uscire un doppio lp live con i loro migliori brani di sempre, cantati
da un Udo clamorosamente in forma: “Staying A Life” (BMG).
Questo sembra essere un suggello per la carriera dei tedeschi, ma
con un clamoroso colpo di coda ecco nel 1992 la notizia della reunion
con il vecchio cantante. I fans esultano ed attendono i frutti di
cotanto entusiasmo. L’attesa non viene tradita nel 1993 con
“Objection Overruled’ (RCA), disco di rara potenza che
raccoglie ovviamente lo spirito dei primi anni. “Slaves To Metal”,
“Protectors Of Terror” e “Objection Overruled”
sono pugni in faccia, brani fra i migliori della loro discografia.
Ma i tempi sono cambiati, il Power Metal in questi anni non gode più
della stessa stima che godeva negli anni ’80. Udo e soci se
ne rendono conto cercando di non abbandonare la vecchia strada ma
allo stesso tempo di arricchirla con qualcosa di “nuovo”
. Purtroppo i risultati dei successivi “Death Row” (Pavement-1995)
e “Predator” (RCA-1996) sono scadenti, privi di quella
qualità che è marchio appurato degli Accept.
Dopo l’ennesimo live commemorativo “All Areas Worldwide”
(Gun) la storia si interrompe nuovamente, così come nuovamente
Dirkschneider riforma nel 1997 gli U.D.O. Sempre lui è l’anima
massiccia del gruppo, icona tedesca del Metal puro, sanguinoso, incazzato,
cattivo e sporco. “Solid” nel 1997, “No Limits”
nel 1998, “Holy” del 2000, il live in Russia del 2001
e “Man And Machine” del 2002 ci fanno ancora godere questo
piccolo e feroce personaggio che in fondo al nostro “Metal Heart”
vorremmo sempre con noi!
E se dovesse capitare una nuova riuonion? Questa volta crepi il lupo,
la storia insegna che non bisogna “mai dire mai”.
Salari Max
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