Se
c’è un genere musicale che non ha tempo è l’Hard
Rock. Esso si è sviluppato nella fine degli anni ‘60
in piccoli rami (Hard Prog e Hard Psichedelico per dare due esempi),
ma in sostanza si è sempre mantenuto su certi canoni. Le caratteristiche
sono note, dinamiche di chitarra con riff potenti e melodie spesso
di facile memorizzazione. L’uso delle tastiere subentra a pieno
regime con la spinta Deep Purple, Hammond su tutte, ma in genere servono
da supporto per mantenere ampie o epiche le arie dei brani. Ecco sfociare
a volte nell’AOR o nel Progressive, come si dice, tutto fa brodo.
Ed il genere in questione è per questo ammaliante, spesso di
compagnia, specie in lunghi viaggi con l’auto.
I bresciani Alchemy si presentano a noi dopo l’ep di esordio
“Rise Again” datato 2013 con “Never Too Late”.
Non è mai troppo tardi suggerisce il titolo, infatti il quintetto
composto oggi da Marcello Spera (voce), Cristiano Stefana (chitarra),
Matteo Castelli (basso), Andrew Trabelsi (tastiere) e Luca Cortesi
(batteria) propone nell’album una serie di canzoni composte
in dieci anni di nottate passate assieme.
Nove tracce cantate egregiamente da Marcello Spera che raccontano
altrettante storie, ma che si fanno apprezzare per freschezza. Quando
una band si diverte a fare ciò in cui crede, il risultato è
quantomeno contagioso, all’ascolto si prova divertimento. Un
brano che mi resta particolarmente in mente e nel cuore è proprio
la title track, dalla quale colgo spunti Queensryche prima maniera,
ma non si scimmiotta nulla, piuttosto si colgono le prerogative che
hanno fatto grande a seguire il Metal Prog.
Energia positiva in “Diablo” che giunge dopo l’intro
“The Place Men Call Hell”, chitarre affilate come lame
e ritmiche rodate e funzionali. Altro frangente spettacolare si intitola
“Blessed Path”, una sorta di schiaffo e bacio, formula
inflazionata ma sempre perfettamente funzionale. La voce sale in cattedra.
Si torna a sbattere il capoccione a ritmo in “End Of The Line”
e ancora energia a profusione con “Get Out”, l’Hard
Rock è gioviale e fa sudare come si deve, quelle belle sudate
salutari. L’album si chiude con i dieci minuti di “My
Way Home” e come non mettere la frase inflazionata “dulcis
in fundo”? Tutti gli ingredienti al posto giusto, dall’AOR
all’Hard Rock e il Prog. Bravi Alchemy!
Dimenticavo la cosa più importante (mannaggia all’età)
questi ragazzi sanno suonare davvero, ma davvero, davvero! MS
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