Il nome di questa band non passa certo inosservato, un po’ per
la lunghezza e un po’ per il senso drammatico che evoca, non
mi era sfuggito, ma confesso che non li avevo mai ascoltati prima.
Dopo aver ricevuto questo undicesimo capitolo della loro discografia
ho sentito la necessità di ascoltare cosa avevano fatto prima.
Quello che ho trovato è una evoluzione che ha portato la band
ad esplorare diversi territori musicali fino ad arrivare al presente
album, che possiamo considerare come vertice di un percorso molto
interessante.
Questa band americana non ha paura di esplorare stili musicali molto
diversi, partendo da un post rock personale, arrivano ad un caleidoscopio
sonoro che ingloba elementi classici, punk, progressive, folk senza
porsi nessun limite se non quello della propria capacità di
immaginazione. Il disco è composto da ventitré brani
di varie lunghezze, tutti molto diversi tra loro, ma con temi musicali
che ritornano come se fosse una vera opera rock. Troviamo parentesi
solenni, sfuriate metalliche, tracce bucoliche, su tutto regna un
gusto melodico contagioso. Se avrete la pazienza di seguire i testi
troverete una costruzione metrica sorprendente, con una cesellatura
delle linee vocali degna di una letteratura di estrazione elevata.
Un lavoro meticoloso incredibile, che vi catturerà nelle sue
spire invincibili.
Un disco che in qualche modo mi ha riportato agli anni sessanta, quando
i gruppi non avevano paura di sperimentare più generi musicali,
quasi fossero posseduti da una forza creativa irresistibile. Un disco
maestoso, sperimentale e bello da ascoltare, di quelli che non vi
stancherete mai di mettere sul piatto per riascoltarlo più
e più volte. Sono veramente pochi i dischi che mi hanno emozionato
così. GB
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