Prosegue imperterrito e senza sosta il numero delle band che in Italia
suonano Progressive Rock. Credo che oramai scrivere ancora che questo
genere sia morto o moribondo sia obsoleto e fuori da ogni realtà.
Ma di quale tipo di Progressive Rock si sta parlando? Il più
gettonato è sempre quello dedito agli anni che furono ma con
uno sguardo anche al moderno. Nascono dei connubi spesso e volentieri
che hanno da dire cose interessantissime, equilibrando tecnica a melodie.
King Crimson, Pink Floyd, Banco Del Mutuo Soccorso, Genesis, IQ, Arena,
Pallas ed altro, vanno ad infondersi con il Prog moderno di Steven
Wilson e Porcupine Tree, questo accade anche nel sound dei pisani
Eveline’s Dust.
La band formata da Lorenzo Gherarducci (chitarra), Nicola Pedreschi
(tastiere, voce), Marco Carloni (basso) e Angelo Carmignani (batteria),
con “The Painkeeper” giunge alla seconda registrazione
in studio dopo l’ep “Time Changes” del 2013.Un album
formato da nove canzoni e con un artwork simpatico, fresco e giovane
ad opera di Francesco Guarnaccia.
“The Painkeeper” è un concept album cantato in
inglese dedicato alla poesia “Il Custode Dei Dolori” di
Federico Vittori.
Il disco si apre vigorosamente con l’intro “Awake”,
breve ma efficacie, dove le carte si mettono subito in tavola ed il
linguaggio della band è già forte e chiaro. Tastiere
e chitarra in evidenza, ma anche una ritmica potente e pulita. Si
arriva a “The Painkeeper”, nel suo dna c’è
tanto materiale, molto di quello che ho già nominato prima,
ma soprattutto buona personalità. Otto minuti fra arpeggi e
buon solo di chitarra elettrica. Giochi di voce ad aprire “NREM”,
strumentale si malinconico, ma dai squarci solari dettati dal suono
caldo dell’ospite al sax, Federico Avella.
Fanno capolino i suoni nervosi dei King Crimson in “Clouds”,
il tutto miscelato con i Porcupine Tree ed ovviamente alla personalità
degli Eveline’s Dust. Carolina Paolicchi presta di tanto in
tanto la sua voce per delle coralità, altra ospite di riguardo
nella riuscita dell’album.
“Joseph” si apre con dei bellissimi arpeggi di chitarra
per poi svilupparsi in un delicato crescendo sonoro, nei suoi otto
minuti inevitabili i cambi di tempo. Questi sono i brani che un Prog
fans vorrebbe ascoltare spesso. Un giro di basso apre “A Tender
Spark Of Unknow”, canzone dai risvolti anche Jazz che comunque
apre ad arie delicate, ancora una volta impreziosite dal sax soprano.
In “Vulnerable” è il piano a salire in cattedra
ed il brano è connesso al successivo “HCKT”, fra
le composizioni più Prog dell’album nel vero senso del
termine. A sua volta giunge la conclusiva “We Wont Regret”,
semi ballata dall’ ampio respiro grazie soprattutto agli interventi
della chitarra elettrica.
Qui signori miei, con “The Painkeeper” siamo a livelli
alti e chi mi conosce sa che quando dico questo, un fondo di verità
c’è sempre. MS
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