Rock Impressions
 

IVAN GRAZIANI - La chitarra Rock della musica italiana
Di Salari Massimo

Troppo presto è stato accantonato il ricordo di un artista uscito dai canoni della musica Pop Rock italiana, ma questo ad Ivan sono sicuro che non sarebbe interessato nulla, il peggio è solo per noi. La provincia era la sua casa, la sua vita, il suo modo di pensare e di agire. L’amore dei profumi di una terra, di certe storie difficili, perfettamente dipinte nei testi, hanno fatto di lui un cantautore decisamente fuori dal coro e sempre in contrasto coi canoni del music businnes. Per questo ad Ivan non sarebbe interessato nulla, prendere o lasciare. Il modo di agire, di andare per la propria strada, aveva portato al cantautore anche delusioni a volte perfino cocenti. Ma questo fa parte dell’evoluzione di un artista, che in questo caso mettiamo dietro all’Uomo.

Graziani nasce il 6 ottobre del 1945 a Teramo, ma c’è una leggenda (forse narrata dallo stesso Ivan amante della Sardegna) che lo vede venire alla luce sopra un traghetto che fa la spola fra Civitavecchia ed Olbia. Di sicuro il nome richiama il mare, leggendolo al contrario il risultato è “navi”.
L’amore per la musica è grande, sin da bambino. Nella sua famiglia già il fratello maggiore suona la chitarra, orgoglio di casa e questo il giovane Ivan lo prende come stimolo per le sue ambizioni. Come per tutti i fratelli più piccoli l’obiettivo è raggiungere il più grande. Così nel 1956, malgrado la sua giovane età, lascia la batteria per dedicarsi a tempo pieno alla chitarra. L’abruzzese ha sempre avuto con lo strumento un rapporto molto intimo, tanto da considerarlo un prolungamento del suo corpo. Ecco cosa dice l’interessato in una delle rare interviste rilasciate durante la sua carriera:
"La chitarra va amata come forma, se non ami questo lascia perdere. E’ come una donna, già il nome è al femminile: la chitarra non è il mandolino, il basso, il clavicembalo, il pianoforte, il trombone, è la chitarra. E poi, guarda caso, ha anche un buco in mezzo. La chitarra ti prende perché è avvolgente, è calda e poi è comoda. Te la porti al mare, in montagna, in macchina: prova a rimorchiare al mare con un pianoforte, portatelo sulla spiaggia. Voglio vedere come cazzo fai".

Le prime vere esperienze risalgono al lontano 1960, dove lo troviamo a fianco del trombettista Nino Dale, famoso a suo tempo nella Teramo artistica. Non per nulla a lui Ivan dedica nel 1983 la canzone “Nino Dale And His Modernist”. L’amore per l’arte è nel sangue ed è totale, nel 1963 prende il diploma in arti grafiche ad Urbino (sua città adottiva) che lo porta a guadagnare anche i suoi primi soldi. I disegni variano da personaggi alla Corto Maltese (Hugo Pratt) ad autoritratti e scene di vita quotidiana. E’ riuscito anche ad unire la musica con la grafica, quasi come in una logica conseguenza, ed ecco allora le tinte forti che ci narrano storie come “Firenze” o “Maledette Malelingue”, oppure l’artwork del disco live “Parla Tu”. Graziani tiene molto alla carriera di disegnatore, più che a quella di cantante e le mostre dei suoi disegni lo rendono molto fiero. La tecnica che scaturisce dalle sue mani è davvero forte, per nulla scontata, dimostrando un talento eccezionale, che non si basa solo sullo studio, ma fuoriesce dall’istinto, dal suo modo di essere. In questo ambito possiamo ricordare anche una breve e curiosa carriera di disegnatore di fumetti porno, un genere che purtroppo permetteva di guadagnare qualche soldo a scapito di altri.


La prima vera svolta artistica avviene nel 1966, con la fondazione della band L’Anonima Sound, con la quale raggiunge Milano. Ivan comprende l’importanza di uscire dalla provincia per poter sfondare nel mondo musicale, per questo l’esperienza è da considerarsi fondamentale. Incidono un 45 giri dal titolo “Fuori Piove / Parla Tu” e con esso arriva il primo necessario esame: Il Cantagiro. Purtroppo per loro il risultato è disastroso, l’ultimo posto è un duro colpo che però non ferma le ambizioni della band. L’anno successivo è la volta del secondo 45 intitolato “Ombre Vive / Girotondo” supportato dall’importante casa discografica di Mogol, la Numero Uno.

E’ in questo periodo che l’interesse di Ivan per il Rock e la chitarra diventa sempre più grande, l’amore per sonorità alla Duane Eddy, Shadows, B.B. King e Beatles lo costringe a sciogliere il gruppo per tentare la carriera solista. Abbraccia la sua EKO semiacustica e nel 1970 realizza il suo vero primo lp, completamente strumentale ed autoprodotto. Il disco dal titolo “Tato Tomaso’s Guitar” è dedicato a sua moglie Anna, per il lieto evento della nascita di Tommaso, ma in realtà non viene mai distribuito. Bisogna attendere il 1970 per ascoltare la voce di Ivan, quella che lui ama definire “la voce di una bimba perversa”. In effetti il successo ed il ricordo di questo artista viaggia soprattutto sulle onde delle sue particolarissime corde vocali, in quel falsetto dall’amletico dubbio se naturale o forzato. Il lavoro in questione prende il titolo di “Desperation” ed è un trentatrè giri cantato in inglese, tutto dedito al Rock, quello degli anni ’50. Questo gli permette il grande balzo, non tanto per le vendite in verità quasi nulle, ma per il fatto di entrare a fare parte della scuderia della Numero Uno. Collabora in dischi di artisti quali Lucio Battisti, Antonello Venditti, Formula Tre e per poco non entra nella formazione della Premiata Forneria Marconi al posto di Mauro Pagani.

L’Ivan Graziani che conosciamo è quello del 1974 con “La Città che vorrei”, un lavoro più cantautorale, che richiama anche l’attenzione di Lucio Battisti, che lo vuole con se nella registrazione dell’LP “La Batteria, Il Contrabbasso, ecc.”. Ed è lo stesso Lucio ad incoraggiarlo nel concepimento del nuovo “Ballata Per Quattro Stagioni”(Numero Uno-1976). Tutta la band al completo dello stesso disco di Battisti consacra al grande pubblico Graziani. Perfino la critica applaude, soprattutto davanti a perle come “E Sei Così Bella”, “Il Campo Della Fiera” e appunto “Ballata Per Quattro Stagioni”. In verità nel disco c’è una prerogativa che tutti gli altri cantautori del periodo non hanno, per la prima volta si articolano canzoni con le chitarre elettriche. Restano ancora molte ingenuità da maturare, non tutti i brani catturano l’attenzione dell’ascoltatore, mentre la tecnica sembra già affinata. Al riguardo Ivan rilascia in un intervista a Daniele Caroli le seguenti dichiarazioni:

La chitarra acustica è uno strumento molto diffuso in Abruzzo, insieme alla fisarmonica a due botte: un'accoppiata usata ad esempio per il saltarello. Ma in queste danze, avendo un ruolo di supporto ritmico per la fisarmonica (al massimo si aggiungeva un violino), la chitarra veniva utilizzata con una tecnica che potrei definire di sgrattugiamento e percussione: si percuotono le corde vicino al ponticello con la parte inferiore della mano, alternando questo movimento con delle battute sulle corde libere e con degli accordi. Questo procedimento, sulla chitarra elettrica, da dei
risultati impensabili: l'ho impiegato soprattutto nei miei primi dischi, ma ancora adesso lo uso in concerto
.


Fai molto esercizio?
No, ritengo che per il tipo di musica che faccio non sia utile. A casa la chitarra non la suono mai, e ci sono dei periodi in cui proprio la abbandono: quando poi la riprendo in mano il rapporto e più bello. L'allenamento costante e indispensabile quando si deve imparare a usare lo strumento: una volta che lo si padroneggia non e più necessario, a meno che si voglia ripetere sempre le stesse cose in maniera sempre più veloce; ma non mi sembra che sia questo il risultato cui tendere. Diversa la situazione dei chitarristi classici, che hanno altre esigenze, di precisione assoluta nell'emissione della nota, di perfetta posizione delle dita eccetera, il che richiede continua applicazione. Per la musica pop-rock vale il contrario, perchè una certa improvvisazione, le note "sporche", "misteriose", ne sono elementi fondamentali.”

I testi vanno a pescare nel quotidiano, la politica non è mai stata al centro dei suoi interessi.
Gli anni ’70 sono quelli della stravaganza del look, ogni artista ha di per se un qualcosa che lo identifica, il chitarrista abruzzese (dietro ad un carattere particolare ed instabile, tanto da farlo definire da molti quasi un orso) non è da meno. La passione per gli occhiali colorati e laccati lo portano alla scomoda e ridicola definizione di Elton John italiano. Decisamente fuoriluogo. Nel 1976 nasce una grande amicizia personale ed artistica con Antonello Venditti, Ivan suona la chitarra nel disco “Ullalla” del cantautore romano ed in più apre i suoi concerti dal vivo come artista di spalla.
L’esperienza che ne trae lo porta ad incidere il bellissimo trentatre “I Lupi” (Numero Uno-1977). In questo caso è Venditti stesso a volere la realizzazione del disco ed il successo è totale sulle ali della meravigliosa ballata “Lugano Addio”. Lo stile diretto e graffiante scaturisce dai testi in tutta la sua purezza, in “I Lupi”. Si parla dei fantasmi e dei brutti ricordi della guerra, orrori molto vicini in quei tempi, dove la situazione in Vietnam colpiva la gente con la sua inutile e crudele violenza. Anche il fascismo viene accusato, in definitiva una canzone antimilitarista graffiante e senza mezzi termini, supportata dalla ruvida musica Rock della sua chitarra.

Un’altra caratteristica di Ivan è narrare le storie di tutti i giorni, dipingerle come in un affresco, ma le meglio riuscite sono quelle di provincia, come in “Motocross”. Una donna ladra riesce a rubare il motore di un ragazzo trascinandolo in una sporca e sanguinosa imboscata. In questo Lp fuoriesce anche l’amore per le donne ed inizia anche l’adulazione per i loro seni, argomento trattato spesso in diversi brani. “Lugano Addio” oltre che il maggior successo di Ivan è anche il seme di un prolifico raccolto di storie di donne che tempesteranno in lungo ed in largo i testi delle canzoni a venire. In questo caso l’amore è adolescenziale, tenero e nostalgico.

Nel 1978 esce “Pigro” (Numero Uno-1978), un disco dai testi forti e profondi. Il successo commerciale arriva sull’onda di canzoni che hanno fatto scuola, basta dire “Monna Lisa”, “Paolina”, “Pigro” e “Sabbia Del Deserto” per comprenderne l’entità. Il Rock vero è sempre presente, “Monna Lisa” apre in questo senso il disco, narrando la storia di un furfante che vuole prendersi la Gioconda nell’assurda convinzione della propria appartenenza. Il massimo del lirismo si raggiunge nel testo e nella musica di “Scappo Di Casa”, una delle canzoni più belle e difficili mai scritte dall’artista di Teramo. Non mancano ovviamente le ballate dedicate alle donne, in questo caso la dolcissima “Paolina” riesce a far cantare l’ascoltatore nel fresco ritornello. Cosa dire poi della breve ed ironica “Pigro”? L’artista attacca efferatamente il mondo intellettualoide esprimendo un Rock rabbioso e diretto. Un vero e proprio cavallo di battaglia che Ivan esibisce in ogni data dal vivo da qui a venire.

Ma è nel 1979 che Graziani raggiunge il massimo dell’ispirazione, il 33 giri “Agnese Dolce Agnese” (Numero Uno-1979) è un successo nazionale che vola sulle onde della dolcissima “Agnese”. Il brano in questione è anche causa di un malinteso, molti giornalisti di settore all’ascolto di “A Groovy Kind Of Love” di Phil Collins gridano al plagio ai danni dell’italiano. In realtà questo Rondò non è altro che una delle “Sonatine Progressive Opera 36” del pianista romano Muzio Clementi del 1797. Anche il nostro cantautore è costretto a scrivere nel disco “Rielaborazione di Ivan Graziani”. La scaletta è oltremodo ghiotta, con brani di forte ironia, grande Rock e le solite donne. Si apre proprio con “Taglia La Testa Al Gallo” e la chitarra è subito protagonista. Si arriva al Rock puro d’annata con “Dr. Jekjll & Mr. Hyde” ed il dubbio ci assale, l’eterna lotta fra il bene ed il male, giusta o sbagliata che sia è racchiusa nella semplice frase “….Quello che non sei ma vuoi”. In questo LP c’è anche il brano preferito di Ivan, “Fuoco Sulla Collina” dove l’incedere della chitarra diverte l’autore e lo fa sbizzarrire, specialmente in sede live. Quello che oltremodo colpisce è il testo, un doppio andamento, dove un ragazzo sedicenne sogna se stesso uomo e di assistere ad una guerra epica che si svolge sopra una collina. In verità i fuochi da lui veduti sono semplici fari di trattori che stanno trebbiando. E la donna? Questa volta ha il nome di Susy (“Canzone Per Susy”).

La qualità resta elevata con “Viaggi Ed Intemperie” (Numero Uno-1980) , un altro agglomerato di successi fra i quali spicca prepotente il tormentone “Firenze (Canzone Triste)”. Con questo disco l’artista raggiunge l’apice della carriera. Le storie di donne si susseguono senza mai cadere nello scontato e tantomeno nel melenso. “Isabella Sul Treno” e “Angelina” parlano di loro e diventano successi commerciali di grande soddisfazione. C’è spazio per trattare anche argomenti difficili come quelli della droga e “Dada” questa volta ce la racconta in maniera diretta, senza mezzi termini, una brutta storia questa della giovane “Ivette senza tette”. Anche “Tutto Questo Cosa C’Entra Con Il R & R?” è una denuncia aperta a questo mondo malvagio, lo stupro è analizzato, l’autore è perfetto narratore e non solo spettatore. In questo disco i brani sono tutti belli, la dolce “Olanda” accompagnata da violini e la fantastica chitarra di Ivan è davvero toccante. Per nulla da riempimento sono “Radio Londra” e “Siracusa”, la riuscita di tutto il lavoro va attribuita anche alla collaborazione del musicista con Giovanni Tommaso. A questi livelli purtroppo Graziani non tornerà quasi più.

Nel 1981 c’è un mini album in formato Q Disc, che tanto di moda va in questi anni (vedi anche Dalla, Cocciante, Gaetano, New Perigeo, e moltissimi altri). Il “Q-Concert” (Numero Uno-1981) è registrato dal vivo dal trio Graziani-Ron-Kuzminac e le canzoni contenute sono comunque belle da ascoltare. “Canzone Senza Inganni”, “Dada”, “Io Ti Cercherò” e “Tempo” sono i titoli.
Nello stesso anno è la volta di “Seni E Coseni” (Numero Uno-1981), un insieme di canzoni ripartite in due diversi stati d’animo, il lato A più lento e delicato ed il lato B più Rock, che oramai possiamo definire a ragione “alla Ivan Graziani”. Si scrive una lettera a Dio con “Ehi Padre Eterno” e non senza una vena polemica (“Ehi Padre eterno che sei nei grattacieli: restaci”. Si racconta la Pasqua (“Pasqua”), uno scampolo di vita vissuta perfettamente descritto nel testo, quasi un “Agnese Dolce Agnese”, dove tutto sembra scorrere lentamente con noia fra abbuffate, pioggia ed un amore andato alla malora. Bellissimo il ritornello. “Cleo” invece è la storia della donna di turno, mentre si parla di sesso con “Oh Mamma Mia” e “Tigre”. In generale questo può considerarsi un buon album, fra alti e bassi e la critica di allora dopo “Viaggi Ed Intemperie” dall’autore si attendeva di più.
Il chitarrista abruzzese nei concerti riesce a dare il meglio di se, la vena Rock è più marcata, la sua chitarra grida forte ed i riff sono più taglienti. E’ il 1982 ed è la volta del disco live “Parla Tu” (Numero Uno-1982), l’unico rappresentato nell’artwork dalle sue matite. Davvero un disco di grande fattura.

Non si capisce il motivo, ma le vendite sembrano diminuire, l’interesse del music businnes volta le spalle al nostro artista, vuoi per la sua inossidabile voglia di non stare a certe regole o forse anche per il suo carattere schivo. Non c’è una verità, resta il fatto che Ivan continua a scrivere grandi canzoni, come quelle incluse in “Ivan Graziani” (Numero Uno-1983), ma certa critica non lo recepisce. E’ sempre la provincia ad essere protagonista e quel Nino Dale (”Nino Dale And His Modernist”) a cui il nostro deve molto. L’LP si apre come meglio non si potrebbe, “Signora Bionda Dei Ciliegi” è un classico del repertorio, una storia d’amore fugace ed adolescenziale, vissuta con veloce impeto, raccontata con nostalgia e desiderio. Ma nel disco c’è inciso un pezzo che è l’icona di Graziani: “Il Chitarrista”. Il furbacchione con lo strumento vuole accaparrarsi le attenzioni (e non solo) di una bella giovane che fa coppia con un tipo poco raccomandabile. Come in un Western la ragazza è il premio conteso di una partita a Poker, il chitarrista vince, ma come si svela a sorpresa nell’ultima strofa “…con il mio mazzo di carte truccare”. Ovviamente il Rock è quello solito e puro di una volta. Tutto il lavoro scorre bene, forse per l’ultima volta. Non sono da meno brani come “Navi”, “Palla Di Gomma” e “140 km/h”.

Il lavoro compositivo prosegue senza soste e nel 1984 è pronto il nono sigillo della sua carriera, proprio dal titolo “Nove” (Numero Uno-1984). I momenti degni di nota sono soltanto tre, “Limiti (Affari D’Amore)”, “Minù, Minù” e “Lucetta Fra Le Stelle”. Famoso il primo pezzo che tratta di una storia omosessuale, mentre più frivole le successive due storielle d’amore, pur se coadiuvate da un songwriting più che discreto. “Io Che C’entro” e “Gangsters” proseguono il filone di racconti alla “Motocross” dove donne e pugni sono all’ordine del giorno, mentre per il resto c’è da annotare solo “Chitarra Bar”, ma senza gridare al miracolo.

L’artista sente che qualcosa si sta scollando fra lui e l’interesse che circola intorno alla sua musica. Una lunga pausa artistica di tre anni non riesce ad aiutarlo, anzi sembra affondarlo definitivamente nel dimenticatoio, relegandolo come un cantautore tristemente fuori moda. Il risultato ha il titolo di “Picnic” (Numero Uno-1986), un vero buco nell’acqua, sotto ogni aspetto. Tutto questo porta alla frattura fra lui e la Numero Uno, L’artista decide di accasare nella casa discografica Carosello. Serve ancora una pausa di riflessione che lo porta a fare un passo indietro, sia come musicalità che come influenze nei testi. Esce “Ivangarage” (Carosello-1989), per certi versi è un riscatto artistico con buoni momenti che molto si rifanno ai Beatles (”Noi Non Moriremo mai” e “Lucia Nel Cielo Coi Diamanti”). Il pezzo forte ha il titolo di “Prudenza mai”, dura, sarcastica, condita di tanto in tanto anche da parolacce, senza cadere mai nella mera volgarità. C’è anche un simpatico richiamo ai metallari (“I Metallari”) dove Ivan sembra ammirarli per la loro perenne ed inossidabile fede e voglia d’amore, il tutto ovviamente condito d’ironia e frasi da interpretare. Il rapporto d’amore fra uomo e donna è anche simpaticamente descritto in “E Mò Che Vuoi”. Non mancano nemmeno le denuncie forti, in questo caso contro la pedofilia e “Johnny Non C’entra” ne è perfetto epiteto.

L’anno successivo esce la prima vera raccolta di successi dal titolo “Segni D’Amore” (Carosello-1990). Il disco è scelto con perizia, i pezzi contenuti sono davvero fra i migliori in assoluto, in più “Lugano Addio”, “Agnese Dolce Agnese”, “Cleo” e “Signora Bionda Dei Ciliegi” sono per l’occasione riarrangiate.

Nel 1991 esce un nuovo controverso lavoro di Ivan, “Cicli E Tricicli” (Carosello-1991) e per l’ennesima volta la critica ed il pubblico si spaccano in due. Le canzoni contenute in effetti non sono di quelle epocali, ma la verità è nel mezzo, tutto sembra scorrere senza infamia ne lode, fra amori e rimbrotti. Tutta la polemica di Ivan nei confronti di chi vuole tarpare le ali a quelli che nella vita tentano di volare è ben descritto in “Kryptonite”, uno dei momenti più alti dell’intero lavoro. Per il resto una manciata di buone canzoncine. Il chitarrista si rende conto del difficile momento artistico e nel 1994 sceglie la strada più semplice, ritornare a narrare storie adolescenziali e tenta la carta San Remo. Il sunto si intitola “Malelingue” (Carosello-1994) e la canzone estrapolata per il festival è la sarcastica “Maledette Malelingue”, un discreto successo commerciale che raggiunge il settimo posto della competizione. Finalmente l’amore per i seni trova in “Poppe, Poppe, Poppe” il proprio inno, dopo innumerevoli richiami a destra e manca di brano in brano. In questo ultimo lavoro in studio sembra ritrovata la vena ispiratoria, in generale un bel disco.

Il contratto con la Carosello scade nel 1996 e Graziani grazie alla forte amicizia con Renato Zero si accasa con Fonopoli. Questo connubio porterà alla realizazione di “Fragili Fiori….Livan” (CGD-1995), un disco dal vivo con l’inserimento di quattro inediti: “Fragili Fiori”, “Buona Fortuna”, “Bum!, Bum!, Bum!” e “La Nutella Di Tua Sorella” con la partecipazione vocale dello stesso Renato Zero.
Dopo una lunga malattia Ivan muore a Novafeltria (Marche) il primo Gennaio del 1997, il tumore all’intestino ha la meglio su di lui ed alla sua grandissima caparbietà.

Usciranno due lavori postumi, il primo si intitola “Per Sempre Ivan” (Fonopoli) tributo voluto fortemente da Zero con la partecipazione di cantanti come Venditti, Tozzi, Antonacci e Baroni. Nulla di utile, a parte l’ottima “Vita “ interpretata dal cantautore romano Venditti. Il secondo è “Firenze-Lugano No Stop” (BMG-2004), un doppio cd che a sorpresa sfonda nelle classifiche italiane. I successi contenuti sono quelli memorabili che conosciamo , mentre gli inediti hanno il titolo di “Il Lupo Ed Il Bracconiere” e “Giuliana”.

Un’altra storia triste si aggira a Novafeltria, quella di Irko, un pastore tedesco che si alzava immediatamente quando sentiva suonare le corde di una chitarra, quella del suo padrone ed accorreva ai suoi piedi per ascoltare quelle vibrazioni a lui care. Un brutto giorno la chitarra ha smesso di suonare, Irko è impazzito dal dolore e ancora oggi lo troviamo errante per il paese alla ricerca di quel fantasma che tanta gioia gli ha saputo dare. Non riconosce più nessuno, ne i figli ne la moglie di Graziani, ora è randagio, come il suo dolore, chilometri e chilometri nelle sue zampette per non rassegnarsi al silenzio della morte.
Noi lo abbiamo dimenticato, Irko no.

“….Un vero chitarrista muore, deve morire sul palco.” IVAN GRAZIANI


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