La casa editrice Progrock Records si adopera nel presentarci questa
ristampa del gruppo americano Jaugernaut (A.D.). Questo in realtà
è il loro terzo ed ultimo disco registrato nel 2005 dopo “Jaugernaut”
(1980) e “Take Em There” (1983). La storia della band,
formatasi verso la fine degli anni ’70, è tortuosa e
colma di defezioni, tanto da far sparire le loro tracce dopo il secondo
disco, con l’aggravante di essere stati vicino anche ad un buon
successo commerciale. Ali tarpate dunque, ma nel 2005 Jim Johnston
ritorna a scrivere brani , colpito dall’interessamento della
gente nei confronti della band manifestato su internet. Johnston scrive
quest’ora di musica praticamente da solo e la suona altrettanto,
solo con l’ausilio di due chitarristi, quali Jim Branner e Marty
Prue.
Un connubio fra Prog, Aor e Pomp Rock, dove Genesis, Styx e Kansas
si incastonano fra di loro con incredibile naturalezza. Brani misti
dunque, si spazia dai quindici minuti di durata fino ai canonici cinque.
Apre la minisuite “Anthem”, tastieristica, camaleontica
e con un cantato variegato dai piccoli richiami ai Queensryche. Ovviamente
la componente Prog qui è più marcata che in altri momenti.
Le chitarre si lasciano andare in scale davvero interessanti, le melodie
poi sono la carta vincente di questo piccolo gioiello sonoro. Verso
la metà del brano si volta pagina, la ritmica si fa più
vivace e spensierata, Johnston si diverte a colpire l’attenzione
dell’ascoltatore spezzando di netto l’ascolto. Tredici
minuti che volano in un attimo. Collegato ad esso subentra “The
Damage Is Done”,con un intro quasi elettronico, ma dallo svolgimento
tipicamente AOR. Il ritornello è di quelli che si stampano
nella mente, contagioso ed arioso, a questo punto i Jaugernaut non
sembrano quasi più loro.
La fantasia compositiva dell’artista viene ancora di più
sottolineata da “Better Living Thru Anarchy”, canzone
spiazzante dal primo all’ultimo minuto, dove moderno e classico
si fondono in un connubio solo apparentemente stridente ed incompatibile.
Per ritornare in territori Progressivi bisogna giungere alla minisuite
“Doing It The Hard Way”. Ancora una volta le tastiere
ed i samples ringiovaniscono l’ascolto rendendolo spumeggiante
e allegro, proprio come i solo di chitarra di Marty Prue. Effetti
sonori, voci, pioggia e tant’altro allestiscono lo spettacolo
per l’orecchio. Bellissima soprattutto la melodia della chitarra
classica. Il pezzo poi esplode in tutta la sua grandezza nel proseguo,
intersecandosi in ambienti Pomp. Forse a molti degli ascoltatori questi
cambi di stile potrebbero risultare fuorvianti ed incoerenti, invece
personalmente li ritengo migliorie all’insieme del disco.
La fantasia Johnston ne ha da vendere, nulla è scontato nella
sua musica, malgrado alcuni richiami troppo seventies come in “Vanity”.
Il nuovo ed il vecchio, il dolce ed il salato, un ascolto poco attento
potrebbe non far cogliere le numerosissime sfumature da esso esposte,
per cui bisogna necessariamente ripetere gli ascolti prima di dare
un giudizio definitivo. Ancora allegria in “A Different World”,
chitarre più potenti ed un cantato questa volta simile a quello
del mitico Roger Chapman dei Family. A seguire e collegata la conclusiva
“All I See Is Gray”, una piccola perla sonora, dolce ed
ariosa.
Difficile credere che un disco del genere possa avere successo commerciale,
trovandosi troppo a metà strada fra stili differenti, ma come
ho gia detto, il bello è proprio questo. Di musica cartacarbone
ne è pieno il mondo, per cui bravo Johnston e brava ProgRock
Records per averci dato quest’ora di cristalline emozioni. MS |