Vengono dalla Sicilia e nel loro disco hanno cercato di infondere
il calore della loro terra. Autori di un jazz legato ai grandi di
questo genere, come Shorter che viene omaggiato, cercano di ritagliarsi
uno spazio in questo ambito che offre diversi spunti di riflessione.
Nell’ambiente gira una specie di proverbio: il jazz piace ai
musicisti il rock/pop piace alla gente. C’è un fondo
di verità in queste parole e per quanto la cosa non piaccia
agli appassionati di jazz che vivono con una malcelata irritazione
la verità di queste parole, quasi come se fosse il pubblico
“che non capisce”, si può comprendere che il jazz
non è facilmente attraente per chi non ha approfondito lo studio
di uno strumento musicale. Non ho certo la pretesa di fare un’analisi
che non mi compete, come stile musicale c’è una componente
tecnica molto importante, non ci sono storie, per fare jazz devi saper
suonare bene, molto bene, il jazz non ha bisogno di “piacere”
basta a se stesso, è facilmente autoreferenziale, eppure per
fare del buon jazz (come e ancora di più del buon blues) devi
avere “cuore”! la tecnica da sola non basta, se non ci
metti l’anima nessuno ti presta ascolto.
Nella realtà questa regola, quella del metterci l’anima,
vale per tutte le espressioni artistiche e per tutti i generi, a maggior
ragione vale in un territorio dove la tecnica ha altrettanta importanza
e qui il confine diventa debole… ma queste sono riflessioni
introduttive. Gli Ostinàti sono grandi musicisti e questo disco
mostra sia la loro tecnica raffinata che il loro cuore di artisti
generosi, che mettono le abilità personali al servizio di tutta
la band. Poi dobbiamo valutare il disco mettendoci nei panni di chi
dovrà ascoltarlo, la cosa che onestamente mi spiace del jazz
è che viene quasi sempre usato come “musica di sottofondo”,
se non sei un nome “grosso” i posti dove ascoltare del
buon jazz sono i piccoli club o alcuni locali, dove regolarmente si
cena e dove spesso (purtroppo) i rumori delle stoviglie e del chiacchiericcio
coprono la musica suonata.
Stone Wall è un bel disco che merita di “bucare”
il muro degli ascolti superficiali. GB
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