Da non confondere con la formazione giapponese dal nome quasi uguale, 
            questa band viene dalla Cina e più precisamente da Beijing 
            e questo è il loro secondo album, a cui ha messo le mani quel 
            genialoide di Devin Townsend. Formazione a quattro con cantante femminile, 
            unico elemento non orientale è il batterista Anthony Vanacore, 
            che sembra avere origini italiane. 
             
            Il gruppo è alla ricerca di un linguaggio personale, che mescola 
            diversi elementi, dal math rock al prog metal, con elementi derivanti 
            anche dall’ambient, dall’elettronica e melodie tipiche 
            della tradizione musicale cinese nel cantato. Ritmiche complesse, 
            a volte anche molto, con una ostentazione tecnica che colpisce al 
            primo ascolto, nel mentre il cantato piuttosto melodico va quasi in 
            contrasto offrendo melodie più lineari, che si scontrano con 
            i tempi serrati e i continui stacchi ritmici. La sensazione di fondo 
            è di un gruppo che cerca con grande impegno di offrire una 
            proposta originale e di sicuro riescono a confezionare brani particolari 
            come ad esempio Ocean, dove basso e batteria fanno un tappeto di capriole 
            su cui la cantante propone una melodia quasi pop. È un contrasto 
            che lascerà alcuni ascoltatori stupiti ed altri perplessi. 
             
            Questo disco mostra impegno e ricerca, i risultati sono tecnicamente 
            apprezzabili, ma credo non siano per tutti. Gli OU rischiano di essere 
            presi come qualcosa di esotico. Personalmente apprezzo l’impegno 
            che hanno infuso nella realizzazione di questo interessante album, 
            mi auspico al tempo stesso la ricerca di un linguaggio che li possa 
            fare apprezzare ad un pubblico più ampio. GB 
             
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