IL
ROCK PROGRESSIVE NEI PAESI SCANDINAVI
Di Salari Massimo
Con questo speciale cercheremo di addentrarci negli intricati meandri
del Rock Progressivo dei paesi nordici, un tentativo velleitario vista
la vastità dei gruppi esistenti, ma speriamo di offrire un
contributo utile ai nostri lettori, ma anche un doveroso tributo ad
una schiera di valorosi artisti, che ha saputo risvegliare i fasti
di un genere musicale dato troppo spesso per morto.
Come già sapete la storia del Progressive Rock è lunga
e tortuosa e fonda le proprie radici in Inghilterra verso la seconda
metà degli anni ‘60. Conosciamo tutti i nomi più
importanti del settore, a partire dai Moody Blues passando in seguito
per King Crimson, Genesis, Pink Floyd, Jethro Tull, Van Der Graaf
Generator, Yes e via, via tutti gli altri minori. Non ci soffermiamo
in questo lato della storia in quanto trattata in altra sede, ma andiamo
ad analizzare una realtà che molto ha fatto per far rinascere
un intero plotone sonoro.
La magniloquenza delle lunghe suite che caratterizzano il Prog, l’autocelebrazione
tecnica esposta dai componenti delle band, in una gara asfissiante
di tecnica spesso autolesionista e le sonorità ostiche dovute
ad una sperimentazione assoluta, conduce il Progressive Rock verso
la fine degli anni ’70 al suicidio. L’usufruitore di dischi,
stanco della musica per la mente, ricerca la più semplice e
diretta musica per il corpo. Non più lunghe suite, non più
esternazioni tecniche , ma semplici riff diretti come un pugno allo
stomaco e testi non più fantasiosi, ma polemici e rozzi: nasce
il Punk. Con esso il Progressive subisce uno stop che fa sentenziare
a tutti i specialisti del settore la sua morte. Solo chi si è
saputo adeguare all’ondata, con compromessi sonori che allora
fecero gridare allo scandalo, si è salvato nel tempo. Ecco
allora i Genesis fare l’occhiolino al Pop, così i cugini
Yes, Jethro Tull ed i Pink Floyd stessi, per la rabbia dei fans di
vecchia data. Ma chi ha scelto questa strada è sopravvissuto
nel tempo, addirittura fino ai giorni nostri.
Bisogna attendere il 1983 per scoprire che sotto la cenere la brace
è ancora calda. Ci pensano gli inglesi Marillion a svegliare
il genere dal torpore e come un araba fenice risorgere immersi nelle
sonorità di Genesiana memoria. Con essi si aggiungono gli IQ,
i Pendragon ed i 12th Night , eccoci quindi ancora una volta a parlare
di favole, amori tortuosi e fantascienza, ma sempre grazie a gruppi
inglesi. La strana onda del Prog viaggia di dieci anni a dieci anni,
questa volta sembra frenare circa la fine degli anni ’80, ma
nel caso nessuno parla più di morte. L’avvento di internet
fa si che i fans della musica “colta” rimangano sempre
in contatto fra di loro, manifestando una passione per il genere che
ha del feroce. Ogni uscita, anche la più banale viene da loro
venerata. Questa volta l’informazione è cambiata, le
vecchie, adorabili e a volte irraggiungibili fanzine, vengono sostituite
dalla rete, dove siti specializzati nel settore reggono in vita il
fenomeno.
Malgrado tutto sembra sempre che qualcosa non giri più per
il verso giusto, l’ispirazione sembra abbarbicata fra le ragnatele
di un genere contorto e stancamente ripetitivo. Ma succede qualcosa
di strano verso i primi anni ’90 e per la prima volta non accade
in Inghilterra. Dalla Scandinavia si alza un onda sonora oscura che
travolge tutto il settore, non si parla più solo di Genesis,
ma di King Crimson e Pink Floyd. Qualcosa è cambiato. I gruppi
che si propongono non hanno look forti, non sono delle “bestie”
da palcoscenico, piuttosto dei bravi ragazzi ricurvi sui propri strumenti
come in un rituale religioso. I nomi di questi nuovi pionieri sono
Anglagard, Anekdoten, Landberk, The Flower Kings e Sinkadus, tanto
per citare momentaneamente i più importanti. I loro punti di
riferimento dicevo, sono i King Crimson, soprattutto l’acidità
delle chitarre di Fripp, ma anche Genesis, visibili a tratti nei passaggi
più romantici e con il flauto. Tutto questo però non
è mero copiaticcio, gli artisti godono di forte personalità
e riescono ad amalgamare la propria anima con i maestri del settore
ed il Folk del luogo (perfetto esempio i White Willow). Quello che
ne scaturisce è un suono assolutamente personale ed oscuro,
proprio come le loro giornate. Molto probabilmente anche il fatto
geografico della luce ed il clima portano le band a suonare in questa
maniera e tutto ciò sarà marchio di fabbrica di tutti
i gruppi scandinavi.
I Precursori
Anche nel passato ci sono stati buoni esponenti del settore, mentre
da noi in Italia si ricordano il terzetto PFM, Banco Del Mutuo Soccorso
ed Orme, in Scandinavia si ricordano Kaipa, Burning Red Ivanhoe e
Junipher Greene. I Kaipa sono la band svedese di Roine Stolt , futuro
leader dei The Flower Kings. In origine la band ha il nome di Ura
Kaipa, e lo stile si aggira intorno al Folk. Successivamente si dedicano
al Prog più classico del termine, con l’ingresso di Ingemar
Bergman al posto di Thomas Sjöberg alla batteria. Subentra anche
il diciassettenne Stolt alla chitarra. Chi tiene le redini della band,
canta e che compone la musica si chiama Hans Ludin, ex San Michael’s
.S’ impartiscono intelaiature alla Camel, specialmente nei tratti
chitarristici, per poi svariare in frangenti Genesis e King Crimson.
Il primo “Kaipa” (1975) ha il profumo della passione,
ma non è esente da inesperienza, nonostante tutto risulta essere
un buon disco. Malgrado la distribuzione dello stesso sia limitata
alla sola Scandinavia, le vendite non sono scoraggianti e fanno si
che la band diventi subito punto di riferimento della nazione. Le
date live sono numerose e ricche di soddisfazioni. Ostico e poco musicale
per noi il cantato in svedese, rude e poco armonioso. Questo risulterà
essere il limite di tutte quelle band che non adotteranno l’inglese
come lingua cantata. Il disco viene successivamente ristampato dalla
francese Musea in versione cd. La stessa sorte toccherà al
più maturo “Inget Nytt Under Solen” del 1976 con
cambio alla voce da parte di Mats Löfgren e a “Solo”
del 1978. A questo punto la band si spacca in due, con Roine Stolt
che comincia a scrivere canzoni per se, mentre Ingemar e Mats Lindberg
fondano una nuova band, gli Ingemar Bergman Troop. Un lungo stop che
dura fino al 2000, quando Lundin ricontatta Stolte per fare qualcosa
assieme. E’ li che rinasce la voglia di riformare i Kaipa ed
il risultato si chiama “Notes From The Past” (Insideout)
edito nel 2002. Lo stile è quello che gia conosciamo, ma con
più esperienza alle spalle ed una produzione assolutamente
all’altezza dell’evento. I Kaipa proseguiranno fino ai
giorni nostri a sfornare lavori sempre stile Camel, Yes, Genesis e
King Crimson con alti e bassi di vendite si passerà da “Keyholder”
del 2003 a “Mindrevolutions” del 2005 fino ai giorni nostri
con “Angling Feelings” del 2007. Tutti i dischi sono sotto
la visione della Insideout e nell’ultimo non troviamo più
il superindaffarato Stolt, ma il suo posto alla chitarra viene rimpiazzato
da Per Nilsson. La band non sembra aver subito uno shock particolare
con la sua dipartita, “Angling Feelings” tuttavia resta
un lavoro fresco anche se a tratti troppo prolisso in fase sonora.
I Burning Red Ivanhoe sono un quintetto danese composto da Kim Menzer
ai fiati, Bo Thrige Andersen alla batteria, Karsten Vogel ai fiati
e tastiere, Ole Fiek alla chitarra e voce e Jess Staehr al basso.
La band è autrice di sei dischi, ma resta alla storia per il
secondo dal titolo “Burnin’ Red Ivanhoe”. Non possiamo
certo dire che siano stati fortunati nella loro carriera, forse sono
ingiustamente fra i più sottovalutati gruppi del Prog europeo.
In realtà gli intrecci fra i fiati, il Blues ed il Jazz che
contamina il loro Rock, producono risultati assolutamente validi,
come pochi hanno saputo fare nel tempo. Il primo “M1444”
(Sonet 1969) ci presenta una formazione ancora leggermente immatura,
ma dalle potenzialità certe, le quali escono immediatamente
con il gia citato successivo “Burnin’ Red Ivanhoe”
(Sonet-1970). Il disco viene ristampato in cd con la giunta di sei
brani, tutti cantati in danese. Seguirà una onorevole carriera
senza cadute di stile con “6 Elefantskovcikadeviser” (sonet-1970),
“WWW” (sonet-1971), “Miley Smile” (Sonet-1972”
e “Right On” (Sonet 1974).
Provenienti dalla Norvegia i Junipher Greene sono autori di un Prog
assolutamente personale che trova il suo equilibrio fra la Psichedelia,
l’Hard Rock e la tenera Scuola di Canterbury, grazie anche al
flauto di Bent Aserud. Un piatto ricco di ingredienti, non mancano
repentini cambi di tempo, le voci filtrate, il jazz e tanta melodia,
quella che riesce a rendere tutto il lavoro più fluido e digeribile.
Non manca neppure la classica suite, in questo caso dal titolo “Friendship”.
Per la curiosità, “Friendship” (Arne Bendiksen-1971)
è il primo doppio lp che esce in Norvegia.
Ma non esistono solo band da un disco e via, ci sono anche formazioni
longeve che si sono arrangiate fino ai giorni nostri ed anche con
buoni risultati di vendite, una di queste si chiama Wigwam. Autori
di una sterminata discografia, i Finlandesi suddividono la propria
storia esistenziale in due tronconi ben definiti, il primo che riguarda
il periodo 1969-1974 (gli Old Wigwam), il secondo che va dal 1974
al 1977 ( i New Wigwam). La musica suonata è totale, anche
se gli strumenti più in evidenza sono le tastiere. Ci sono
sonorità di tutte le sorte, comprese improvvisazioni jazz,
sempre e rigorosamente dietro il filo conduttore del Rock, impreziosito
dalle famose sonorità oscure che contraddistinguono i gruppi
scandinavi. Ci sono anche fiati, buona sezione ritmica e brani si
articolati, ma sempre nei canoni della melodia. La band viene ricordata
soprattutto per il concept-album “Being” (Love Records-1973),
scritto interamente da Jukka Gustavson. Sempre riguardo il primo periodo,
piacevolissimo anche “Fairyport” (Love Records-1971) con
un cantato che ricorda molto Peter Gabriel. Un disco ricco di passaggi
interessanti e mai noiosi. Riguardo il periodo nuovo non possiamo
non ricordare “Nuclear Nightclub” del 1975, un classico
del Prog Scandinavo. Verso la fine degli anni ’70 la band si
scioglie per poi riunirsi negli anni ’90 con la formazione Jim
Pembroke (voce e tastiere), Pekka Redchardt (chitarra) e Mans Groundstroem
al basso. I Wigwam ancora oggi producono dischi di vasto interesse
a dimostrazione che il tempo aiuta anche a maturare.
Ma ritorniamo agli albori, i Mecki Mark Men sono il gruppo del tastierista
cantante Mecki Bodemark, un amante dell’ hard Rock, Blues e
Jazz, un coraggioso pioniere nordico di nuove sonorità a cavallo
degli anni 1967, ‘69. Il Prog Svedese sta compiendo i propri
primi passi, il quartetto ben amalgamato, riesce ad infondere la rudezza
dei primi suoni Hendrixiani alla malleabilità del flauto, per
un risultato ottimale. La Mellotronen nel 2004 ci ristampa l’ottimo
“Running In The Summer Night”, originariamente del 1969.
La band si esibirà in concerto assieme ad altri artisti del
calibro di Jethro Tull e Byrds, ed inciderà altri album fino
al 1979.
Per gli appassionati del genere molte sono le band di culto, una di
queste sono i Lotus. Autori di due buoni LP, “Lotus” (Scarlet
Music-1874) e “Vera O’ Flers” (SMA- 1976), oggi
ristampati dalla Mellotronen. La Scuola Di Canterbury sale in cattedra
nelle composizioni, molto influente sembrano essere stati per loro
i Camel di Latimer e la Mahavisnu Orchestra.
Chi pesca in sonorità Crimsoniane sono invece i longevi Trettioariga
Kriget, band storica che non disdegna neppure passaggi psichedelici
alla Pink Floyd. Potete scoprirli nella bella raccolta “Glorius
War- Recordings From 1970-‘71” (Mellotronen – 2004)
o anche nell’ultimo “Elden Av Ar” ( Mellotronen-2004).
Il tempo sembra aver maturato ancora di più il suono, in questo
concept autobiografico non mancano i classici passaggi di mellotron
e le chitarre alla Fripp, proprio tutti gli ingredienti per il fans
del Prog.
Ci sono stati anche gruppi che hanno fatto impazzire i collezionisti,
uno di questi sono i Radiomobel . Verso la metà degli anni
’70 si dilettavano ad incidere album, ma non a distribuirli
in maniera adeguata. Chi voleva godere delle loro sonorità
non dovevano fare altro che accaparrarsele in sede live, dove veniva
venduto il vinile. Non è che siano stati dei grandi strumentisti,
tantomeno hanno inciso dischi memorabili, ma il loro Hard Rock Psichedelico
misto al Folk miete più di un consenso. Chi volesse ascoltare
questa band può approfittare della ristampa di “ Tramsebox”
(1975) e “Gudang Garam” (1978) da parte della Transubstans
rispettivamente nel 2006 e nel 2005.
Bizzarre soluzioni sonore nell’Hard Rock sinfonico degli svedesi
Flasket Brinner, altro gruppo di culto per i collezionisti, autori
di solamente due dischi, “La Carne Brucia” (Polydor-1971)
e “Flasket” (Polydor-1972). Il complesso nasce prevalentemente
per esibirsi dal vivo, le esibizioni sono sempre variegate e ricche
di nuove tematiche, con annessi cambi di tempo. Piccoli interventi
Jazzati arricchiscono il suono, nonché stramberie come “Beate
Hill”, canzone registrata con un microfono mentre il duo Bengt
Dahlèn ed Anders Nord si incontrano camminando in spiaggia
con i due strumenti, il violino e la fisarmonica! Esiste anche un
ghiottissimo cofanetto di quattro cd contenente le esibizioni alla
radio svedese, dal titolo “ The Swedish Radio Recordings 1970-1975”
(Mellotronen-2003), per la gioia dei collezionisti.
Chi di stramberia ha vissuto il periodo d’oro del Prog sono
gli Apollo, ex Topmost. La voce marcatamente ridicola e grottesca
del cantante leader Harri Saksala sono il loro marchio di fabbrica.
Si ascoltano riff pesanti, ma anche flauto in “Apollo”
(Blue Master-1970), disco a tratti Rock ed in altri Psichedelico,
vera chicca per chi vuole davvero conoscere tutto del movimento.
In Svezia si aggirano verso la fine degli anni ’60 moltissimi
gruppi che dedicano le proprie attenzioni al Rock Hard e Psichedelico,
chi con migliori e chi con peggiori risultati, uno che resta sopra
la media è Asoka. La band in esame ha durata breve e conosce
lo stop nel 1973, ma riesce a comporre lavori di rilievo, fra i quali
consigliamo “Asoka” (Sonet-1971), oggi ristampato dalla
Mellotronen con la giunta di sette bonus tracks. Davvero efficaci
nei passaggi duri alla Deep Purple, ma anche gradevoli nei movimenti
pianistici. Una menzione a parte anche per i storici Finlandesi Haikara,
più recentemente redivivi con l’ottimo “Tuhkamaa”
(Mellow- 2001).
E poi , come abbiamo già spiegato, venne il Punk ed anche in
Scandinavia il movimento subisce un brusco arresto. Così come
in Inghilterra, i nostri “vichinghi” non si fanno mancare
i gruppi che hanno soffiato sulla cenere, in questo caso non hanno
il nome di Marillion o Pendragon, ma di Tribute e The Foundation.
I Tribute sono un sestetto che però non ha nulla a che vedere
con il New Prog inglese, loro si distinguono per due album che non
ricalcano le orme dei Genesis, ma riescono a miscelare con personalità
suoni alla Gentle Giant, Camel, Enid ed Alan Parson, il tutto sotto
l’occhio vigile dell’ex Gong Pierre Moerlen. Una musica
eccezionale esce dai solchi di “New View” (1984), solamente
la suite omonima di ventidue minuti vale da sola il prezzo del disco.
E’ l’insieme che convince, la musica dei Tribute potremmo
definirla intelligente, da sola sa quando variare per tenere sempre
alta l’attenzione dell’ascoltatore. Ovviamente le tastiere
sono lo strumento più in evidenza. I suoni sono fatti per sognare,
specialmente in fase acustica, dove tutto sembra impalpabile e sublime.
Un disco tutto strumentale assolutamente da non mancare. La band si
divede ben presto e da una sua costola nascono i buoni The Foundation.
Da ascoltare “Departure” (1985), un lavoro semplice e
delicato, dalle influenze del gruppo madre ma con un pizzico di Pop
in più che rende il tutto molto leggero da assimilare. Le chitarre
di Jerker Hardange sono più presenti rispetto ai lavori dei
Tribute ed ogni tanto escono tastiere e passaggi cari ai Genesis.
Questi in definitiva le differenze sostanziali, oltre il fatto che
“Departure” non è un album strumentale, in esso
troviamo passaggi cantati da Hardange e da Jan Ronnerstorm (batteria).
In definitiva i The Fundation sono quelli che in scandinavia hanno
seguito di più le orme del New Prog Inglese.
Molto interessanti anche gli attuali Kerrs Pink. La discografia alle
spalle dei Norvegesi è ricca di buone opere, anche se quella
più importante in senso storico è “Mellom Oss”
(Pottiskiver-1981), poi ristampato nel 1993 dalla Musea. Questa volta
a differenza dei colleghi inglesi, non sono i Genesis ad essere presi
di riferimento, ma i Pink Floyd ed i Camel. Ma l’ambiente progressivo
degli anni ’80 in scandinavia è alquanto latitante, non
si annoverano band degne di nota e come per un terremoto il panorama
carica la sua magnitudo per lasciarla sfogare improvvisamente. Così
con l’arrivo degli anni ’90 il movimento deflagra in tutta
la sua potenza.
Dagli anni ’90 ad oggi: I custodi della formula “rinascita”
L’Heavy Metal in Scandinavia ed il Gothic sono i generi musicali
in cui gli artisti danno il proprio meglio . Violenza inenarrabile
nei suoni delle band Death e Black, gruppi che aprono nuovi orizzonti
e diventano idoli di una gioventù assetata di nuove e forti
emozioni, soprattutto antireligiose. Tutto è oscuro nel suono
delle band, ma la più bella malinconia fuoriesce dai dischi
di band decadenti e gotiche con tanto di voci femminili. La bellezza
è dettata dalla semplicità con cui sono malinconici,
evidentemente perché non hanno il bisogno di sforzarsi per
esserlo, ma di per se lo sono già. Punto d’incontro magnifico
fra queste nuove sonorità sono gli Opeth. In alternativa al
suono Metal, prettamente rivolto ad un pubblico più “muscoloso”,
c’è chi sfida la tendenza cercando di soddisfare la mente,
troppo a lungo rimasta ingabbiata da un music business spietato. Questi
ragazzi sembrano essere passati attraverso ad uno sbalzo temporale,
i figli dei fiori sono ritornati e rivogliono il maltolto. Curiosamente
il Metal ed il Progressive riescono quasi a convivere, come se tra
loro ci fosse una sorta di patto di non belligeranza e di rispetto.
Il metallaro è consapevole che i gruppi Prog sono dotati di
una ottima tecnica strumentale e tanto basta per dare loro gli onori
al merito. Nascono dunque anche strane simbiosi, la più importante
ha il nome di Metal Progressive, ma questa è un'altra storia.
C’è dunque fame di suoni anni ’70, non ci si rassegna
al “contentino” New Prog, c’è bisogno di
qualcosa di più forte, fantasioso, di un suono magico e “colto”.
Si fanno portabandiera di questo movimento gli Anglagard, gli Anekdoten
e molti altri che andiamo ora ad analizzare più dettagliatamente:
Con solamente due dischi alle spalle, un EP ed un live, si può
passare alla storia come uno dei punti di riferimento per un intero
genere? Sembrerebbe proprio di si, questo accade agli Anglagard. La
band si forma nel 1991 grazie a due ragazzi appassionati del Symphonic
Prog, Tord Lindman (chitarre) e Johan Nogberg (basso), in seguito
raggiunti dopo un audizione da Thomas Johnson (tastiere), Jonas Engdegard
(chitarre), Mattias Olsson (batteria) e dalla flautista Anna Holmgren.
L’amore che nutrono per gli anni ’70 sgorga da ogni nota,
specialmente quello per i primi King Crimson. La bravura di questi
artisti si trova nel saper unire tutto al folk della loro terra per
scaturirne fuori un suono a volte drammatico ed oscuro, ma sempre
di ispirazione bucolica. Ascoltare un loro brano, rigorosamente lungo,
si è come avanti ad un affresco, dove i colori si confondono
con le ombre per un risultato che potrebbe anche stordire. Tanti cambi
di tempo e di umore, la tecnica individuale è sopra la media,
il tutto già fuoriesce dal loro primo lavoro dal titolo “Hybris”
( Mellotronen-1992), uno dei debutti discografici più grandi
di tutti i tempi. L’esperienza al gruppo non manca, infatti
prima di incidere il cd si esibiscono in molte date dal vivo, forgiando
così l’amalgama e l’intesa necessaria per una macchina
da guerra pressoché perfetta. Basta questo lavoro per essere
invitati nel 1993 al Progfest di Los angeles. Sempre nel 1993 incidono
un brano per il magazine inglese Ptolemaic Terrascope dal titolo “Ganglat
Fran Knapptibble”.
Agli amanti del Mellotron e del flauto, basta attendere appena meno
di un anno ed ecco nel 1994 uscire il secondo capolavoro dal titolo
“ Epilog” (Mellotronen). Siamo sugli stessi livelli del
precedente, il successo è confermato, così i concerti
dal vivo, annesso il Progfest del 1994. La performance viene immortalata
in un live cd edito dalla francese Musea dal titolo “Buried
Alive”. Con esso ognuno può godere a pieno delle potenzialità
dei musicisti in concerto, una band che sicuramente non si muove molto
sul palco, ma che sa accalappiare con la magia della sua musica.
A questo punto inspiegabilmente , sull’apice del successo la
band si scioglie per lo stupore di tutti coloro che li amano. Li ritroveremo
ancora insieme dal 2002 per delle apparizioni live come nel concerto
di Stoccolma, al Freakshow –festival tedesco ed al prestigioso
Nealfest negli stati uniti. Ancora una apparizione in Belgio ed in
Francia e poi più nulla. La band sembra essersi nuovamente
eclissata, comunque sia nessun nuovo album in studio, ma la speranza
è sempre l’ultima a morire.Troviamo nel 2003 la presenza
di Mattias Olsson in un gruppo dalle scarse velleità Progressive
dal nome Brighteye Brison nel disco “Brighteye Brison”
(Rivel records-2003). Non suona la batteria ma le tastiere e lo stile
della band ricalca scarne sonorità alla Echolyn, per il resto
molta commercialità.
Allo stesso tempo in Svezia, ed anche negli stessi studi degli Anglagard,
si aggirano un gruppetto di quattro ragazzi che, nel tempo, hanno
saputo plasmare il suono schizofrenico dei King Crimson, gli Anekdoten.
Originariamente nel 1990 il terzetto era composto da Nicklas Berg
(chitarra), Jan Erik Liljestrom (basso e voce) e da Peter Nordins
(batteria) ed il nome della band era King Edward. I musicisti si esibivano
nei locali suonando brani dei King Crimson, fino a che una sera ad
assistere venne una ragazza dal nome Anna Sofi Dahlberg . Rimase colpita
dal suono della band e dopo aver contattato Berg, nel tempo viene
ingaggiata nella band. Anna suona il violoncello, il suono della band
si tramuta in qualcosa di oscuro e pesante, sono nati gli Anekdoten.
Dopo il classico demo, in questo caso composto da cinque brani, è
la volta del cd di debutto dal titolo “Vemod” (Virta-1993).
La fame di Prog in questo periodo è davvero tanta, specialmente
per questo tipo di sonorità, ecco dunque spiegato il clamoroso
successo di vendite di questo debutto che viene quantificato in totale
sulle 15.000 copie vendute. La richiesta di concerti è una
naturale conseguenza degli eventi, punto massimo è il Progfest
del 1994 documentato sia in video che in cd dalla Musea. La tentazione
di suonare brani dei King Crimson è ancora elevata, ma si opta
giustamente per realizzare nuovamente qualche cosa di proprio o per
lo meno di tentare di dare più personalità ai brani.
Il distacco dal gruppo ispiratore ancora non è molto marcato,
ma un piccolo passo c’è ed il risultato si chiama “Nucleus”
(Virta-1996) sempre distribuito dalla Musea. Soddisfacenti anche le
vendite di questo nuovo album, più difficile del suo predecessore,
ma dalle sonorità malinconiche ed oscure di una bellezza raggelante.
E’ la volta del Giappone, la band parte per un lungo tour e
decide di registrare l’evento in un doppio cd dal titolo “Official
Botleg- Live In Japan” (Arcangelo-1997). Da sottolineare l’assoluta
qualità sonora del prodotto che eguaglia la perfezione. A questo
punto non manca che il disco della consacrazione, il classico terzo
passo che decide l’effettivo valore di una band ed i nostri
non mancano di certo l’appuntamento con la maturità.
Oramai sembrano più lontani i tempi del Re Cremisi ed il timbro
diventa sempre più oscuro ed aggressivo, “From Within”(
Virta-1999) è un capolavoro. Le date live si moltiplicano.
I passaggi strumentali complicati diminuiscono nel successivo “Gravity”
(Virta-2003), la band sembra cercare di meno l’aggressività
e produce questo disco di buoni canzoni, più o meno in sintonia
con il suo predecessore, ma con qualche passaggio a vuoto. Esce il
secondo live dal titolo “Waking The dead- Live In Japan 2005”
, il Giappone è oramai terra degli Anekdoten. Oggi li ritroviamo
con il nuovo “ A Time Of Day” (Virta-2005), un passo stilistico
indietro alla riscoperta delle sonorità di “From Within”,
ma anche passaggi più commerciali a testimonianza dell’avvenuto
adattamento al music businnes, ossia unire l’utile al dilettevole.
Le terre gelide del nord Europa sono dunque prolisse di complessi
che dedicano le loro attenzioni ai King Crimson, altri pionieri del
caso sono i Lanberk. A differenza però dei “cugini”
Anglagard ed Anekdoten, il quintetto del cantante Patric Helje è
dedito ad un suono essenziale, quasi magnetico. Gli strumenti vengono
appena sfiorati e raramente aggrediti. Mancano dunque lunghe suite
nei loro dischi, mancano assurdi passaggi di tempo, ma in controparte
hanno un carisma al di fuori della norma. C’è tristezza,
religiosità , delicatezza nei brani, sin dall’iniziale
cd d’esordio “Riktigt Akta” (Landberk-1992/Record
Heaven-1995). Il cantato in lingua madre non rende il disco molto
fruibile, ma la musica ossessiva e delicata riesce ugualmente a cogliere
l’animo di chi ascolta. Nello stesso anno i Lanberk registrano
nuovamente il disco con il canto in inglese ed il titolo è
“Lonely Land” (The Laser Edge-1992), logicamente per tentare
di accalappiare l’attenzione di un pubblico più vasto.
Le potenzialità a loro disposizione fuoriescono nel 1994, nel
capolavoro “One Man Tell’s Another” (Megarock Records-1994)
eletto dalla critica disco Prog dell’anno. In esso c’è
magia, una magia che sfiora ed ammalia, anche i King Crimson hanno
la loro influenza, come in “Time” e “Kontiki”.
La band parte per diverse date live e toccano anche il nostro suolo.
La testimonianza sonora dell’evento è intitolata “Unaffected”
(Melodie & Dissonanze-1995). Le canzoni sono registrate alcune
all’Usignolo Di Castelnuovo Del Garda ed altre il giorno dopo
in Germania. Bella la cover iniziale dei Van Der Graaf Generator “Afterwards”.
I Landberk si congedano dalle scene con un disco di una bellezza cristallina
dal titolo “Indian Summer” (Record Heaven-1996), proprio
per questo che il rammarico per la scissione è ancora più
doloroso. La musica suonata è inimitabile, scarna, ridotta
all’osso, la voce e l’interpretazione di Heije è
addirittura commovente. La band viene completata da Andreas Dahlback
alla batteria, Stefan Dimle al basso, Reine Friske alla chitarra e
Simon Nordberg alle tastiere. Nel 1998 Stefan Dimle e Reine Fiske
si fondono con Nicklas Berg e Peter Nordis degli Anekdoten per dar
luce ad un breve progetto dal titolo Morte Macabre, Il risultato è
il buon “Symphonic Holocaust”, lavoro dalle ovvie tonalità
oscure ma carente dell’energia madre che caratterizzano le due
band. I Landberk hanno lasciato un vuoto incolmabile.
Il bassista Stefan Dimle e Reine fiske, proseguono comunque il loro
cammino di artisti e fondano una band di tutto rilievo, i Paatos.
Anche in questo caso parliamo di un quintetto ma con una cantante
femmina, la brava Petronella Nettermalm. La delicatezza e la nostalgia
sonora che aleggiava intorno ai Landberk in parte viene riproposta
da questa band che ben si è saputa muovere nel music businnes.
La grande etichetta Insideout percepisce immediatamente le potenzialità
della band e sull’onda del successo di band analoghe come ad
esempio i The Ghatering, producono al meglio il prodotto. Tre sono
i lavori da ascoltare, il primo “Timeloss” (Insideout-2000),
il migliore “Kallocain” (Insideout-2004) con tanto di
DVD allegato, e “Silente Of Another Kind” (Insideout-2006).
Ma ritorniamo alle influenze della band di Fripp, i Sinkadus sono
un altro risultato di questo periodo musicale, forse i più
simili agli Anglagard. Anche loro si muovono fra paesaggi favolistici
oscuri e descrizioni di temporali sonori con delicati arcobaleni annessi.
La sensazione che si prova all’ascolto dei brani è di
estraniazione dalla realtà, ci si trova a sorvolare con la
mente paesaggi bucolici di tempi passati. La strumentazione aiuta
molto, Mellotron, Hammond, Violoncello e flauti hanno il loro peso.
La band è composta da Rickard Bistrom (basso), Mats Svensson
(batteria) Fredrik Karlsson (tastiere), Lena Pettersson (Violoncello),
Linda Johansson (flauto e voce) e Robert Sjoback (chitarra) e si forma
in Svezia nel 1995. In realtà la prima formazione vede la luce
come cover band già nel lontano 1988, con Karlsson e Sjoback
e solo con il tempo si aggiungono i successivi elementi, per ultima
Lena Pettersson nel 1995. Tanta esperienza live per questo gruppo
che decide di incidere il primo lavoro nel 1996 dal titolo “Aurum
Nostrum” (Cyclops). Esso è composto da soli quattro brani,
tutti sopra i dieci minuti, perché è la natura musicale
della band che lo esige. Essa è dedita a repentini cambi di
tempo con annessi piacevoli assolo di strumenti. Ma è il cantato
in svedese che rende un quasi capolavoro poco digeribile, questo il
vero limite della band. Dopo l’uscita di cotanto debutto la
band viene immediatamente candidata al Progfest del 1997. L’evento
viene registrato nel demo “Live In Progfest”. Bisognerà
attendere altri due anni per ascoltare il nuovo lavoro da studio,
dal titolo “Cirkus” (Cyclops-1999). Esso ricalca le orme
del suo predecessore. Purtroppo la storia della band finisce qui,
salvo rivedere sporadicamente qualche apparizione assieme agli Anglagard.
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I
Norvegesi White Willow sono un altra realtà nordica che si
stabilisce a metà strada fra Anglagard ed Anekdoten, dedita
ad un Prog malinconico e celebrale, una rosa nera nell’intero
panorama. Nei brani aleggiano atmosfere alla Pink Floyd e alla Gryphon,
il flauto e la voce della brava Sylvia Erichsen accalappiano l’ascolto
come poche band riescono a fare. Belli gli assolo di chitarra da parte
di Jacob Holm-Lupo ed imponente il lavoro alle tastiere di Brynjar
Dambo. La loro discografia è composta da quattro lavori, tutti
di alto livello e cantati in inglese. I brani non contengono suite,
ma sono a volte di lunga durata e si aggirano spesso sopra i dieci
minuti. Vivamente consigliati: il debutto “Ignis Fatuus”
(Laser’s Edge-1995), “Ex Tenebris” (The Laser’s
Edge-1998), “Sacrament” (The Laser’s Edge-2000),
“Storm Season” (Lucretia Records-2004) e “Signal
To Noise” (The Laser’s Edge-2006).
Tuttavia se chiediamo a qualunque appassionato di Progressive Rock
, chi è il gruppo Svedese per eccellenza, la risposta è
una sola: i The Flower Kings.
Il gruppo del già menzionato Roine Stolt è molto prolifico
ed è dedito ad un rock di classe, ricco di lunghe suite e cambi
di tempo. Le influenze arrivano dai lontani anni ’70 dai soliti
gruppi che hanno fatto la storia, a partire dai Genesis, ai King Crimson
, ma anche Van Der Graaf Generatror, Yes e uno stralcio della Scuola
Di Canterbury, il tutto revisionato dall’esperienza Kaipa. La
band è composta da grandi strumentisti, tutti in possesso di
una tecnica individuale invidiabile, adatti perfettamente alle tortuose
composizioni di Stolte. Infatti è proprio lui che tiene le
redini della band, nata proprio dal nome del suo primo album solista
dal titolo “The Flower Kings” (Foxtrot/Insideout-1994).
In esso ci sono canzoni orecchiabili già pregne di maturità
artistica a dimostrazione che Roine ha già le idee chiare al
riguardo. Ma il primo vero successo sia commerciale che musicale viene
dal bellissimo “Back In The World Of Adventures” (Foxtrot/Insideout-1995).
La band è composta, oltre che dal suo leader, da Michael Stolt
al basso, il fido tastierista Tomas Bodin, Hasse Bruniusson alle percussioni
e Jaime Salazar alla batteria. La musica che ne scaturisce è
un Prog totale, puro e commerciale, dall’antico profumo anni
’70, sembra che quelle note abbaino subito un viaggio temporale.
Stolte comincia a dedicarsi alle suite, si comincia con la storica
“World Of Adventures” per terminare con “Big Puzzle”.
Di tanto in tanto non mancano piccole schegge di Jazz e Blues. I The
Flower Kings sono già un mito nel settore. Immediatamente l’anno
successivo è la volta dell’ottimo e più maturo
“Retropolis” (Foxtrot/Insideout-1996). Chi ama il Mellotron,
l’Hammond c3 ed i sintetizzatori trova nei The Flower Kings
il paradiso terrestre, mentre la chitarra di Stolt è sempre
in evidenza.
“Retropolis”
resterà un classico anche nei concerti. Ma è nel 1997
che arriva il capolavoro, accompagnato dall’ottima produzione
del sempre fido Don Azzaro,è la volta del monumentale ed irraggiungibile
doppio cd “Stardust We Are” (Foxtrot/ Insideout-1997).
Questo è un immenso calderone di sonorità, oltre i già
citati si scorgono influenze Gentle Giant e passaggi alla Frank Zappa!
I suoni strabordano dallo stereo, la sonorità è piena,
quasi stordisce e la Psichedelia di tanto in tanto fa capolino. Esso
contiene due brani che hanno fatto la storia del Prog scandinavo,
“In The Eyes Of The World” e la lunga suite finale “Stardust
We Are”, addirittura commovente durante i passaggi vocali di
Hans Froberg, cantante di ruolo che si alterna a Stolt. A questo punto
la band conosce il giusto riconoscimento mondiale. Squadra che vince
, compresa la formula, non si tocca e l’ispirazione del leader
sembra non conoscere limiti. Passa solamente un anno ed i nostri sono
nuovamente sugli scaffali dei negozi con un altro prolisso doppio
cd dal titolo “Flowerpower” (Foxtrot/Insideout-1997).
Lo stile ricalca quello del suo fortunato predecessore, con la differenza
che nel primo cd troviamo un brano lungo addirittura un ora, per la
gioia dei Progsters incalliti, dal titolo “Garden Of Dreams”.
La critica lo accoglie come un caposaldo del genere. E’ maturo
il momento del live, una giusta fotografia del felice momento è
proprio questo “Alive On Planet Earth” (Insideout-2000).
Stolt e Bolin nel 2000 vogliono strafare, puntuali come un orologio
svizzero i nostri se ne escono con “Space Revolver” (Insideout-2000),
un disco che inizia alla grande con “I Am The Sun”, ma
che nel proseguo si trascina più stancamente. I The Flower
Kings si discostano poco dal loro binario stilistico, malgrado tutto
sanno maturare, “Rainmaker” (Insideout-2001” è
un lavoro ottimo, con brani storici come “World Without A Heart”.
In questo periodo il Prog vive alla grande anche grazie a loro. Ci
si chiede come faccia Roine a fare così tante canzoni di qualità
e partecipare allo stesso tempo a collaborazioni importanti come Kaipa,
The Tangent e Transatlantic, è inevitabile che si vada incontro
ad un momento di stanca. Il disco di transizione si chiama “Unfold
The Future” (Insideout-2002), povero di spunti interessanti.
Non può mancare il doppio CD/DVD con i maggiori momenti della
loro storia, la Insideout promuove questa soluzione a molti dei gruppi
sotto la propria custodia ed i Flower Kings non sono esenti. Il cofanetto
si chiama “Meet The Flower Kings” (2003). Tutto serve
per riprendere fiato dopo il mezzo passo falso del 2002, eccoci dunque
arrivare al 2004 con un nuovo concept, questa volta ricco di spunti
validi dal titolo “Adam &Eve” (Insideout-2004). La
lezione sembra assimilata, la band prende il suo tempo e se ne esce
nel 2006 con un doppio cd eccezionale dal titolo “Paradox Hotel”
(Insideout-2006). Il Re Di Fiori è anche il re del Prog Scandinavo.
Per chiudere questo capitolo sulla band nominiamo velocemente i dischi
solisti dei componenti giusto per chi vuole approfondire la conoscenza:Roine
Stolt ha inciso nel 1999 “Hydrophonia” (Foxtrot-1999)
disco strumentale godibilissimo e più recentemente il buon
doppio “Wall Street Voodoo” (Insideout-2006), mentre nel
lontano 1984 ha partecipato al gustosissimo The New Grove Project,
incidendo il bellissimo “Fool’s Journey” in seguito
ristampato dalla 99th Floor.
Il tastierista Tomas Bodin Incide quattro dischi , il migliore è
“I Am” del 2005. Partecipa anche nel gruppo Swedish Family.
Il bassista Jonas Reingold ha partecipato in parecchi progetti fra
cui annoveriamo i Karmakanik, Opus Atlantica, Time Requiem e Space
Odissey.
Ma c’è chi ancora è più affezionato alle
vecchie e buone sonorità Genesis-Pink Floyd, questi sono i
Fruitcake del batterista cantante Pal Sovik. Il loro modo di concepire
la musica è decisamente semplicistico, le composizioni non
si basano su repentini cambi di tempo o virtuosismi vari, ma sull’
orecchiabilità del brano. Il suono è molto tastieristico
ed oscuro, a tratti raggelante, con qualche sprazzo di luce. Non mancano
le voci femminili, ne il flauto che addolcisce di tanto in tanto i
frangenti oscuri. La discografia è abbastanza nutrita, ma per
chi si volesse addentrare per la prima volta nel loro mondo, i due
dischi migliori sono “One More Slice” (Cyclops-1996) e
“Power Structure” (Cyclops-1998).
Concludiamo la carrellata dei gruppi principali in bellezza con gli
Hoyry-kone, gruppo di Prog sperimentale con influenze Frank Zappa
e Scuola di Canterbury. Alla batteria troviamo come ospite niente
meno che Peter Nordins degli Anekdoten. La loro musica non è
di facile assimilazione , ma è di una spettacolarità
unica, i suoni sono a volte duri, quasi Heavy Metal, per poi passare
alla dolcezza del flauto e del violoncello con stupefacente indifferenza.
I dischi che hanno prodotto si chiamano “Hyonteisia Voi Rakastaa”
( Ad Perpetuam Memoriam-1995) e l’ottimo “Huono Pasturi”
(Ad Perpetuam Memoriam-1997). Da una loro costola si formeranno gli
Uzva, autori di tre dischi di ottimo Prog strumentale, malinconico
e vicino a certe nostre band come ad esempio gli Arti e Mestieri.
I due lavori si intitolano “ Tammikuinen Tamella” (Ylosmatka-2000)
, “Niittoaika” (Silente-2002) e “Uoma” (2006).
.
I Minori e le nuove leve
.
A partire dalla metà degli anni ’90 sino ai tempi di
oggi, il Prog Scandinavo non ha mai avuto dei veri e propri momenti
di calo, il movimento si è sempre mantenuto costante, forse
per questo motivo non è del tutto appropriato il termine “
Nuove Leve”. In definitiva questi complessi non fanno altro
che proseguire il sentiero intrapreso dai loro vicini cugini. Nel
mercato musicale ne troviamo davvero a centinaia, quindi molti verranno
estromessi, a loro vanno le nostre anticipate scuse.
Il termine “Minori” invece non deve essere considerato
sminuente per gli esaminati,in quanto per minore si intende meno fortunato
in numero di vendite. Sappiamo bene poi che le vendite non vanno sempre
d’accordo con la qualità, a volte in dischi poco distribuiti
si nascondono dei veri e propri gioielli sonori.
Al primo posto mettiamo subito i Ritual di Patrik Lundstrom . La band
si forma nel 1993, ma con alle spalle già molta gavetta live
che inizia nel 1988 sotto il nome Brod. Nel 1993 vengono raggiunti
dal tastierista Jon Gamble, cosi sorgono i Ritual. Lundstrom in Svezia
è un artista molto conosciuto ed i suoi impegni collaterali
fanno si che nei successivi anni, fino al 1995 la band è privata
della sede live. Ne guadagna il lato da studio, il quale nello stesso
anno partorisce il loro primo disco dal titolo “Ritual”
(Musea-1995). Partono diverse date dal vivo, compresa l’Italia,
ma la band torna ad essere funestata dagli impegni esterni. Questa
volta sono tutti i componenti a lavorare in progetti paralleli, i
nostri si ritroveranno insieme in studio solamente nel 1998 per poter
tessere le basi del nuovo “Superb Birth” (Ritual -1999).
Da esso ne scaturisce anche un EP dal titolo “Did I Go Wrong”
(Ritual-1999). Il disco è molto bello, ma l’autoproduzione
non giova alla sua distribuzione ed i Ritual, con le scarse vendite,
rischiano il tracollo. Fortunatamente in questo periodo la vena creativa
è davvero marcata, si scrivono subito altre canzoni importanti,
questa volta però decidono di accasarsi con una vera label
e l’attenzione nei loro confronti è rivolta dalla Tempus
Fugit. Il terzo “Think Like A Mountain” (2003) è
un capolavoro di Prog misto fra Yes e Folk, grazie anche ad una particolare
attenzione per strumenti non convenzionali come il violino, il Mandolino
ed il Bouzouki. La band non è molto prolissa, la ritroviamo
nel 2006 con la realizzazione di un disco dal vivo dal titolo “Live”
(Tempus Fugit-2006).
Gli Opus Est non sono una band esordiente , ne tantomeno recente,
ma le loro radici si spingono in profondità sino alla fine
degli anni ’70, dove troviamo “ Opus1” ( Autoproduzione
1983- Musea 2003) a testimoniare le loro scorribande strumentali.
La musica che fuoriesce da questa rara ristampa è un Hard Prog
molto semplice e di facile ascolto. A distanza di molti anni li ritroviamo
con “ Opus 2” (Musea-2006), in esso è racchiuso
molto materiale vecchio e qualche nuova composizione, il tutto ovviamente
è rivolto ai collezionisti del caso.
I svedesi Zello sono una band dedita ad un Pomp-Prog molto incline
ai Kansas, con tanto di violino. La curiosità è che
siamo in assenza di chitarra, la quale però è ben sopperita
dalle onnipresenti tastiere di Anders Altzarfeldt. La band esordisce
in vasta scala con l’omonimo “Zello” (APM-1996),
l’approccio non è dei più esaltanti, il disco
si lascia ascoltare con tranquillità ma a parte qualche passaggio,
siamo ancora troppo succubi del Power Prog degli americani Kansas.
Il tempo rende loro giustizia con il successivo “Quodlibet”
del 1999 , disco decisamente più maturo ed intrigante. In esso
ci sono gioielli come l’iniziale “I Will Be The Wind”,
canzone assolutamente commerciale che avrebbe fatto gola a qualsiasi
altro gruppo e la bellissima suite di ventisei minuti dal titolo “Zwecia”.
Ma non solo Kansas nella loro cultura musicale, a tratti fuoriescono
i Jethro Tull ed i Kaipa. Nel 2004 c’è una importante
svolta nella line-up, si aggiunge ciò che mancava, cioè
un chitarrista che in questo caso ha il nome di Janne Stark (ex Locomotive
Breath).
C’è anche il cambio di label per tentare il salto di
qualità , si passa alla Lion Music, di conseguenza i Zello
tentano di mettersi alla luce nella scena mondiale registrando nuovamente
i lavori fino ad ora editi. Il risultato è “First Charter,
Second Verse” (Lion Music-2004). In esso è contenuto
il meglio dei dischi precedenti più un paio di brani inediti.
I Zello sono una band dedita a melodie orecchiabili, ma anche a passaggi
strumentali assolutamente intriganti, di sicuro il loro piatto forte.
Altra band interessante sono il quintetto Mikromidas. Il suono che
ci propongono è un oscuro Prog sinfonico a tratti riconducibile
a quello dei connazionali Anglagard ed ai King Crimson. Nascono nel
1995, ma incidono il loro primo disco nel 1999, un concept album rivolto
all’ alienazione dell’uomo ed alla scarsa facoltà
dello stesso di ascoltare. Emblematica la copertina del cd con un
uomo ingabbiato dentro un volto umano. Ma questo disco vedrà
la luce solamente nel 2001 grazie all’attenzione della francese
Musea. Il titolo di questo intressantissimo esordio è “Brennende
Drommer” (Musea-2001).
Le tastiere analogiche e l’oscurità del suono della band
si ripropone integro anche nel successivo “Faunus” (Musea-2005).
Grande limite di questa band è il cantato in lingua madre,
poi accompagnato da un cantante non sempre all’altezza. In generale
i Mikromidas sanno emozionare, anche nei passaggi di chitarra, dove
l’emotività riesce a catturare la nostra attenzione.
A seguire le orme degli Anglagard e Lanberk incontriamo anche i Simon
Says. Più marcato il suono Genesis nelle composizioni, la band
è in possesso anche di una tecnica che permette loro di fuoriuscire
dalla media dei prodotti analoghi. Esordiscono nel 1995 con “Ceinwen”
( Bishop Garden-1995), ma bisogna attendere ben sette anni per poterli
riascoltare, L’attesa è valsa la pena, “ Paradise
Square” ( Galileo-2002) è un ottimo disco di musica Progressive
al 100%.
In Norvegia ci sono anche artisti che tentano la strada solista, seguendo
le orme di altri precursori del campo, come ad esempio A. Lucassen
degli Ayreon. Colui che ha tanto talento e coraggio si chiama Mattis
Sorum ed il suo progetto ha il nome di Pictorial Wand. Il tuttofare
chitarrista e tastierista si circonda di buoni strumentisti, di un
orchestra e di ben otto cantanti. Il disco è un concept basato
sulla storia di un uomo che tenta di scontare i suoi peccati ed è
suddiviso in due cd, Il disco si intitola “A Sleeper’s
Awakening” (Unicorn Digital-2006). Le influenze che si possono
ascoltare sono davvero tante, dai Pink Floyd agli Yes, passando per
Jethro Tull, Pain Of Salvation e moli altri. Questo mix di sonorità
faranno sicuramente la gioia di chi ama le soluzioni più variegate,
dai cambi di tempo a tutto quello che è Progressive DOC. Ma
ce n’è anche per chi ama le canzoni più semplici,
specialmente sul secondo dischetto. Mattis Sorum è un nome
sicuramente da segnarsi, se è vero che il buongiorno si vede
dal mattino.
Da tenere sott’occhio anche un altro gruppo, questa volta un
quintetto Finlandese che con il suo debutto dal titolo “Ultramarine”
(Mellow Records-2000) ha incuriosito più che un addetto ai
lavori, loro si chiamano Groovector.Chi ama le tastiere Hammond, il
flauto e tutto quello che gira attorno alla Scuola Di Canterbury è
avvisato. La band del tastierista Mikko Heinien è molto vicina
ai Camel, c’è più dedizione verso le sonorità
rilassate e bucoliche, piuttosto che verso passaggi ultratecnici e
funambolici cambi di tempo. Il disco è tutto strumentale e
raggiunge l’apice della bellezza nella conclusiva suite finale
dal titolo “Elegie”.
Nella stessa scuderia Mellow sono gli Overhead, gruppo dedito ad un
Prog sinfonico di natura Genesiana. Il debutto dal titolo “
Zumanthum” (Mellow-2002) farà scorrere lungo la schiena
più di un brivido a chi ama anche i Camel. Flauto, Marillion
ed anche qualche spruzzatina di Pink Floyd nel successivo “Metaepitome”
(Musea-2005), un disco più maturo e che probabilmente metterà
alla luce del successo questa band che proprio lo merita.
Chi si aggira nelle coordinate classiche Prog, sono i giovani svedesi
Liquid Scarlet. In questo caso la Psichedelìa si incrocia anche
con il Folk ed i King Crimson, il debutto “Liquid Scarlet”
( Progress Records-2004) è un ottimo biglietto da visita. Si
migliora con il successivo “ II ” (Progress Records-2005),
le atmosfere torbide e cupe subiscono a tratti delle schiarite quasi
allegramente Pop.
Facciamo ora un break nell’interno del panorama segnalando un
complesso che di Progressive non ha poi molto, salvo qualche momento
meno Psichedelico, ma che sta dando davvero tante soddisfazioni a
chi segue l’Hypno-improv-stoner-Rock. Questo strano appellativo
non l’ho coniato io, ma se lo sono forgiati loro stessi, per
questo motivo essendo un suono poco collocabile, lo inserisco in questo
pacchetto Progressive. Il termine racchiude in se il seme del progredire,
sviluppare soluzioni ed i Pharaoh Overlord sono il perfetto sunto.
La loro improvvisazione è alienante ed acida, un bombardamento
sincopato di elettricità che avvolge la mente. I dischi prodotti
sono tre, “#1” (No Quarter-2000), “#2” (No
Quarter) e giustamente “#3” (No Quarter-2005). I brani
sono tutti lunghi e si aggirano mediamente sulla durata di dieci minuti,
sconsigliati a chi è debole di psiche, perchè come un
trip i Pharaoh Overlord ti entrano dentro e ti lasciano il segno.
Chi si aggira attorno a questi suoni sono anche gli Oresund Space
Collective , un gruppo nato nel 2004 e composto da artisti provenienti
dalla Danimarca, dalla Svezia e anche dall’America. Space Rock
al 100% . Da ascoltare con la dovuta preparazione mentale l’ottimo
doppio cd “It’s All About Delay” ( Transubstans-2006),
grande sorpresa per tutti gli estimatori del genere.
Per approfondire meglio il breve discorso Psichedelico, annoveriamo
anche i finlandesi Five Fifteen . La musica che propongono, a differenza
dei precedenti artisti, è rivolta al periodo Beatles e più
specificatamente quello di “Abbey Road”, diciamo la prima
psichedelia britannica. I dischi per ora incisi sono tre ed il migliore
è senza dubbio “Psychedelic Singalongs For Stadiums”
(Blastic Heaven-1997).
Più anni ’70 è psichedelici nel termine più
popolare della parola, sono i svedesi Darxtar. Pink Floyd, Awkwind
ed Eloy sono in prima linea ed ottimo risulta il loro quarto lavoro
dal titolo “Sju” (Black Widow-1996). Da avere anche il
più recente “We Came Too Late” (Nasoni Records-2005).
Ma torniamo al Progressive più consono alla nostra ricerca,
pur restando sempre con un piede nei lidi della Psichedelia. I Qoph
si divertono a mischiare Gong a Soft Machine, King Crimson e Frank
Zappa ed il risultato è assolutamente valido. La band Svedese
si forma nel 1995 e da alla luce il suo primo lavoro nel 1998 dal
titolo “ Kalejdoskopiska Aktiviteter” (Record Heaven).
Questa è uno dei pochi complessi in possesso di fortissima
personalità, con una ritmica fuori del comune sostenuta da
Patrick Persson al basso e da Federico De Costa alla batteria. La
melodia a volte viene soffocata da passaggi strumentali astrusi, ma
sempre godibilissimi. I Qoph migliorano di più nel successivo
“Pyrola” (Records Heaven ) dimostrandosi possessori della
formula fantasia, il disco non stanca mai nei suoi repentini cambi
umorali e questo grazie anche alla presenza di ospiti importanti fra
i quali annoveriamo Nicklas Barker (Anekdoten) al mellotron.
Restiamo sempre in ambito Psicho-Progressive ed andiamo ad incontrare
i Norvegesi Kvazar. La band è composta da cinque elementi,
Andre Jensen voce e piano, Endre Tonnesen al basso, Ronny Johansen
alle tastiere, Alexander Knosmoen alla chitarra e Kim A. Lieberknecht
alla batteria. I suoni sono oscuri e disegnano fondali a volte spaziali
nei momenti più Pinkfloydiani e schizofrenici quando si avvicinano
ai King Crimson. L’oscurità è anche dettata dall’
influenza Van Der Graaf che di tanto in tanto fa capolino fra le composizioni.
Producono un demo nel 1997, la Musea li mette sotto contratto ed escono
nel 2000 con il primo cd dal titolo “Kvazar” (Musea-2000).
È un piccolo gioiello di Progressive svedese , consigliato
a tutti coloro che vivono di Prog Rock e non disdegnano puntatine
verso la Psichedelia. Bisogna attendere il 2005 per poterli riascoltare
con piacere, il bellissimo “A Giant’s Lullaby” (Musea-2005)
non è da meno del suo predecessore. In quest’ultimo si
possono ascoltare anche passaggi più Folk e commerciali, pur
restando dentro il proprio binario.
Il talentuoso tastierista Par Lind si mette in evidenza per l’ottimo
lavoro solista dal titolo “Mundus Incompertus” ( Crimsonic
Label-1997) ed il nome del gruppo è Par Lindh Project. In esso
Prog influenzato da musica classica.
Fra i nomi più altisonanti della terra fredda c’è
sicuramente quello del veterano Cross, autore di dischi di orecchiabilissimo
Prog AOR, ma non privo di passaggi importanti. La forza di questo
artista risiede nel songwriting, sempre fresco e di facile memorizzazione.
Bella la raccolta “Dream Realyty” (Cyclops-1997).
Il tastierista dei norvegesi White Willow, Lars Fredrick Froislie,
si mette alla prova con la musica più vicina ai loro colleghi
Anglagard ed Anekdoten, pur restando imbrigliato sempre nella folta
coltre dell’oscurità, tanto cara alla sua band madre.
Il progetto ha il nome di Wobbler che nel 2005 edita il cd dal titolo
omonimo, composto da ben tre suite. La prima dal titolo “Hinterland”
dura quasi ventotto minuti ed è ricca di cambi di tempo, Mellotron,
passaggi alla Flower Kings (specialmente nel cantato di Tony Johannessen)
ed Anekdoten. Seguono “Rubato Industry” e “Clair
Obscur”, rispettivamente di tredici minuti e quindici. Un disco
per veri cultori.
In sonorità alla Gentle Giant, Kaipa e Yes si aggirano gli
Etcetera. Questa band è una delle più vecchie in circolazione,
autori di buone realizzazioni fra le quali segnaliamo l’ottimo
“ Tales Of Arbour & Decit” (Musea-2003).
Più sinfonici ancora, ma anche con uno sguardo rivolto al mondo
pop sono gli Isildurs Bane. Di questi svedesi segnaliamo tutta la
saga “Mind”, fino ad oggi suddivisa in quattro volumi.
Nel 2000 il chitarrista David Zackrisson , amante dei King Crimson,
Frank Zappa e Gentle Giant, mette in piedi una nuova band dal nome
Beardfish e la nuova ondata progressiva scandinava riesce a prendere
non solo un nuovo respiro, ma anche diverse coordinate da perseguire.
Non più solo sonorità oscure, ma anche molta melodia,
pur sempre sotto la rigida regola della tecnica strumentale, mai sminuita
nel campo. Art Rock con la lettera maiuscola sin dal primo “
Fran En Plats Du Ej Kan Se…” ( Jet Set Music-2003). Strepitoso
il successivo doppio cd “The Sane Day” ( Beard-2005),
ma ancora più in alto si sale con l’ultimo Sleeping In
Traffic: Part One” (Insideout-2007). La band in futuro farà
sicuramente parlare molto di se.
In Svezia c’è pure chi tenta di rinverdire i fasti del
New Progressive , quello che Marillion e Pendragon hanno portato ai
massimi splendori, fra i più interessanti segnaliamo i recentissimi
Maze Of Time. La band del chitarrista leader Robert I Edman gioca
molto sulle tastiere alla Nolan e sulle chitarre alla Rothery. All’ascolto
viene da pensare ad uno sbalzo temporale, tanto sono dediti a quei
suoni che ci hanno deliziato negli anni ’80. “Tales From
The Maze” (Art Of Performance-2007) è un disco sorprendente
e lascia presagire che i futuri Arena potrebbero essere loro.
Ma anche i Carptree si dilettano a sfogliare quelle pagine di storia
Marillioniana, pur sempre rivisitandole con personalità. La
band è praticamente un duo composto da Carl Westholm alle tastiere
e da Niclas Flinck al microfono, per tutto il resto ci pensano le
special guest. I loro lavori sono tutti di buona levatura, l’esordio
del 2001 “Carptree” (Fosfor Creation), “Superhero”
(Fosfor Creation-2003), “ Man Made Machine” (Fosfor Creation-2005)
e l’ultimo “Insekt” (Fosfor Creation-2007). La musica
è ora sognante, ora nervosa, ma sempre sotto l’alone
oscuro del Prog Svedese. C’è chi marca ancora di più
la mano nei confronti dei Marillion, questa volta però, da
come lascia ben intendere il logo, quelli periodo Hogart: i Norvegesi
Gazpacho. Chi ama il Prog sognante, arioso e trascinante ha trovato
in loro un movimento da seguire con estrema affezione. Basta ascoltare
l’ultimo “Night” (Impact-2007) per eleggerli ad
onorem “Marillion dell’anno”, forse più degli
originali stessi.
Invece, chi ha preso la strada intrapresa dai Pendragon? In Svezia
il testimone lo raccolgono i Galleon. La discografia è lunga
e cadenzata, inizia nel 1993 con “Lynx” (VF-1993) e prosegue
anno dopo anno fino ad arrivare ai giorni nostri. La musica proposta
è sempre suadente e di classe,il settimo lavoro “From
Land To Ocean” (Progress Records-2003) è da tenere in
seria considerazione.
Oggi una delle più grosse sorprese, dedite ad un Prog sinfonico
molto vicino a quello americano degli Spock’s Beard, sono i
Norvegesi Magic Pie. Da molti addetti ai lavori già eletti
come “salvatori della causa”, i Magic Pie sembrano voler
sfruttare al massimo tutte le carte vincenti del genere, a partire
dalle suite, ai suoni anni ’70, ai cambi di tempo, ma soprattutto
con uno sguardo sempre attento nei confronti della melodia, vera arma
vincente delle loro composizioni. Straordinario l’esordio “Motions
Of destre” (Progress Records-2005), ma ancora di più
il successivo “Circus Of Life” (Insideout-2007).
Chi invece preferisce ascoltare i Camel, i Pink Floyd, l’Hard
Prog ed i Procol Harum, farebbe bene a segnarsi questo nome: Black
Bonzo. Spettacolare il debutto dal titolo “Lady Of The Light”
(B&B-2004), ma ancora di più attira l’interesse il
successivo “Sound Of The Apocalypse” (The Laser’s
Edge-2007).
In Finlandia poi ci sono ancora complessi che si ispirano alla musica
di Gabriel e soci, fra i più interessanti segnaliamo gli Ageness
. La loro discografia non è che sia estesa, ma è tutta
di buona fattura. Tuttavia il disco che si lascia ascoltare con maggiore
attenzione è “Immageness” (Musea-1997), specialmente
durante la suite “Sequels (The Feast Of Fools)” di 26
minuti e mezzo.
Questo vasto calderone sonoro è intriso di mille suoni e colori,
il Progressive scandinavo si crogiola nelle sue antiche storie e leggende,
affascinante più che mai quando ci racconta di boschi, di magie
ed elfi. La musica Folk Norvegese è qualcosa di veramente toccante,
ed i suoi discepoli si gettano anima e cuore nel narrare queste sensazioni.
C’è un duo in particolare che riesce a colpire la nostra
attenzione, si chiamano Janne Hansen (voce) e Per Selor (chitarre)
e hanno il logo di Shine Dion. Flauti, sassofoni, mandolini e violini,
ma anche Mellotron per tutti gli amanti dello strumento, questi gli
strumenti principali per due risultati davvero interessanti, “Berkana”
( Colours- 1994) e “Killandra” ( Black Widow- 1998).
Chiudiamo in bellezza con un gruppo Norvegese dal curioso nome, i
Panzerpappa che con una sorprendente autoproduzione nel 2000 ci deliziano
con “….Passer Gullfisk”. In esso si aggira Jazz-Rock
con frammenti di Folk.
Questo a grandi linee è il fenomeno Scandinavo, un movimento
fulgido che è saputo passare da ammiratore ad ammirato con
intelligenza, ma soprattutto con personalità, quella che nella
musica ha fatto sempre la differenza, più della tecnica strumentale.
Lasciamoci coinvolgere dal vento gelido ed oscuro del nord.
Massimo Salari
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