INTERVISTA 
            AI ROCKET SCIENTISTS (versione 
            inglese) 
            di Giancarlo Bolther 
             
            Siete 
            soddisfatti del nuovo disco, come mai avete aspettato quattro anni 
            per dare un seguito a Brutal Architecture? 
            Si, siamo molto soddisfatti. I Rocket Scientists sono sempre 
            stati un amalgama di stili differenti e penso che questo sia il primo 
            dei nostri dischi dove siamo riusciti a bilanciare perfettamente tutte 
            le nostre influenze in un unico prodotto. Inoltre, suonare dal vivo 
            è stato molto importante perché ha influito molto sul 
            taglio aggressivo della musica che suoniamo oggi. Da quando abbiamo 
            inciso il disco precedente sono successe molte cose. Abbiamo iniziato 
            a registrare il nuovo disco un anno dopo la realizzazione di Brutal 
            Architecture, ma il nostro primo tour è stato confermato quando 
            eravamo solo ad un terzo del lavoro, con le canzoni per lo più 
            abbozzate. Finito il tour, emersero molte opportunità con Lana 
            Lane – sia live che in studio – e non le abbiamo lasciate 
            scappare. Dopo tre CD e due tours in Giappone con Lana, abbiamo finalmente 
            avuto il tempo di raccogliere le idee e di ricominciare a lavorare 
            sul nuovo disco. A questo punto le cose si sono svolte velocemente, 
            ma abbiamo aspettato qualche mese per realizzare il CD per rispettare 
            le priorità della casa discografica. 
             
            Avete registrato un live dopo due soli dischi in studio, non 
            pensate sia stato un po’ prematuro? 
            No, assolutamente. Fin dal loro principio, i Rocket Scientists 
            sono molto più di un gruppo “da studio” e penso 
            lo si possa sentire chiaramente nei nostri dischi. Eravamo tutti molto 
            contenti di come si stesse sviluppando e crescendo il nostro sound 
            durante la tournée e, quando uno degli spettacoli venne registrato 
            in modo professionale, abbiamo subito pensato che sarebbe stata una 
            buona idea realizzare il disco live anche perché molta gente 
            non ci conosce ancora sotto questo aspetto. Se il nostro gruppo dovesse 
            suonare dal vivo come in studio come succede ad esempio per i Rush, 
            sicuramente non avremmo realizzato un album live. 
             
            Guardando alla vostra carriera sembrate più dei prestigiosi 
            Session men che non una vera e propria band, qual è in realtà 
            il ruolo che preferite? 
            Tutti noi abbiamo fatto varie sessions, ma non posso dire 
            che abbiamo suonato davvero per tanti artisti. Si è trattato 
            in realtà della realizzazione di progetti personali. I Rocket 
            Scientists sono veramente Erik Norlander e io al cuore del gruppo 
            e siamo aiutati da session men. Erik e io, comunque, non suoniamo 
            mai in progetti dove possiamo essere considerati come dei mercenari. 
            Sia Lana Lane che i Rocket Scientists sono realtà dalle quali 
            traiamo molte ispirazioni e creatività sia dallo scrivere che 
            dal produrre e dall’arrangiare. Personalmente nutro una preferenza 
            per i Rocket Scientists perché con loro riesco a veder realizzate 
            molte più idee personali. Anche nella band di Lana Lane però 
            ci sono molti vantaggi, perché è qualcosa di più 
            immediato da apprezzare e non essendo al centro dell’attenzione 
            di tutti mi è più facile immergermi nell’intero 
            processo. 
             
            Quali difficoltà e quali pregi offre essere un duo? 
            Il vantaggio di avere un partner è quello di poter 
            dividere le responsabilità e poi c’è sempre qualcuno 
            in grado di tirare quando l’altro si è impantanato. Un 
            altro vantaggio è che due sole persone significano solo due 
            ego da accontentare e le cose riescono ad essere eseguite più 
            velocemente e con più efficienza. Penso che sia una condizione 
            preferibile perché più gente c’è e più 
            è difficile lavorare assieme per un lungo periodo di tempo, 
            guarda per esempio quanti cambi di formazione hanno avuto gli Yes 
            o i King Crimson! 
             
            Qual è il vostro parere sull’attuale scena prog 
            e symphonic rock e come vi collocate nell’attuale momento di 
            grazia che questi generi stanno attraversando? 
            Penso che ci siano varie grandi bands che stanno godendo 
            di un discreto successo. È eccitante vedere come la scena stia 
            crescendo e che non viene confinata ad una ristretta cerchia di appassionati. 
            Ero veramente rattristato nel vedere quanta mainstream pop music studiata 
            a tavolino ci veniva propinata, si tratta di un gruppetto di vecchi 
            ricchi che scrivono e producono una miscela riciclabile per delle 
            bambole adolescenti. Io penso che la scena prog sinfonica sarà 
            duratura perché è un genere che premia la complessità, 
            la profondità, il talento e l’integrità artistica 
            e potrà rigenerarsi continuamente, di conseguenza darà 
            sempre soddisfazione sia agli artisti che ai fans. Credo che musicalmente 
            ci posizioniamo tra la tradizione della “vecchia scuola” 
            progressive (al seguito di bands come Yes, Pink Floyd e King Crimson) 
            e tra le nuove schiere heavy (come gli Ayreon, i Symphony X e i Dream 
            Theater). Il sistema musicale viaggia attraverso le mode e in certi 
            periodi funziona meglio con certi gruppi rispetto ad altri. Realizzare 
            un disco è il risultato dell’allineamento di molte di 
            queste forze e penso che l’attuale momento di grazia ha avuto 
            un ruolo determinante nella buona riuscita di "Oblivion Days". 
            Era davvero tempo per i Rocket Scientists di realizzare un lavoro 
            come questo. 
             
            Non pensate che ci sia pericolo di un eccessivo affollamento 
            di gruppi? 
            No, se c’è un audience per un certo tipo di 
            musica, allora c’è sempre posto per gli artisti di talento. 
            Probabilmente la scena diventerà più competitiva, ma 
            questo è salutare perché farà crescere le aspettative 
            che gli artisti hanno verso loro stessi. Quando ascolto un grande 
            album, mi stimola sempre a lavorare con maggiore impegno. L’unico 
            pericolo è che la musica diventi troppo "mainstream" 
            cosi da cadere vittima delle trappole della "corporate music", 
            ma questo non può accadere alla musica progressiva perché 
            è per sua natura anticonvenzionale. 
             
            Insieme a BOC, Hawkwind e Saga siete fra le poche bands che 
            si ispirano direttamente alla fantascienza? 
            La fantascienza e il progressive rock sono grandi compagni 
            e non penso che siamo così unici come dici. Bisogna ricordare 
            anche Rush, Yes, Genesis, ELP, Queensryche, Black Sabbath, Ayreon 
            e molti altri che ora non mi vengono in mente. La musica che Erik 
            e io desideriamo creare ha un’atmosfera di mistero e penso che 
            sia naturale associare le tematiche care alla Sci-Fi con questo tipo 
            di sonorità. Abbiamo sempre avuto come obbiettivo che la musica 
            dei Rocket Scientists dovesse avere l’effetto di catturare l’ascoltatore 
            e di trasportarlo in un luogo descritto dal brano stesso. La Sci-Fi 
            è un grande veicolo per poter ottenere questo effetto. 
             
            Perché, secondo voi, è importante distaccarsi 
            dalla realtà quotidiana? 
            Amiamo rapire i nostri ascoltatori dalla realtà quotidiana. 
            Vogliamo ricreare un effetto che assomigli a quello dei films, come 
            una vibrante atmosfera che cattura lo spettatore. Ogni volta che l’audience 
            di un film è portata a pensare “è tutto falso!” 
            oppure “nella realtà le cose non vanno così!” 
            questo fa fallire il progetto. Il nostro obbiettivo è fare 
            il possibile perché questo non accada con chi ascolta la nostra 
            musica. 
             
            Come nascono i vostri testi? 
            Quando scrivo una canzone si tratta più di un’esperienza 
            tipo channeling (una sorta di comunicazione spiritica) che non di 
            un processo cosciente. Mi accade che le parole e la musica si influenzino 
            vicendevolmente e contemporaneamente. Non sempre le parole hanno senso, 
            sono piuttosto dei veicoli per il ritmo e la melodia. Le parole hanno 
            una certa carica visiva e personale e sembrano avere un tema quando 
            le analizzo. Una volta composto un tema musicale di base, registro 
            il pezzo e cerco di inserire delle liriche con un metodo sensitivo. 
            A questo punto passo la canzone a Erik che focalizza l’idea 
            del mio lavoro e scrive il resto. Egli si ispira principalmente dalla 
            letteratura, puoi facilmente trovare riferimenti a Moorcock, Heinlein, 
            Shakespiere e altri ancora nella nostra musica. Di solito solo un 
            terzo dei testi che scrivo finisce nella versione finale del brano. 
             
            A cosa vi riferite con i brani che compongono la quadrilogia 
            di Dark Water? 
            Dark Water è un feeling, un’atmosfera. Il titolo 
            vuole evocare l’immagine di un grande oceano scuro che si distende 
            attorno a te in tutte le direzioni. Tutti e quattro i capitoli di 
            Dark Water possiedono un umore etereo. Anche il capitolo finale “Heavy 
            Water”, possiede un certo feeling, nonostante sia molto heavy 
            nella parte centrale. Inoltre, c’è un secondo significato 
            per Dark Water, che sottintende un aspetto umoristico. “Dark 
            Water” è un’espressione slang per indicare il caffè, 
            e come saprai si fa un gran consumo di caffè in studio quando 
            si registra! 
             
            I vostri dischi in studio sembrano collegati da un unico concept, 
            ce ne vuoi parlare? 
            Nei testi ci sono molti temi che collegano fra loro i nostri 
            dischi, ma non penso che ce ne sia uno in particolare. Ci sono riferimenti 
            ricorrenti al caos e all’ordine, c’è un continuo 
            riferirsi alla letteratura. Potremmo definire il nostro “concept” 
            così: la ricerca di bilanciare temi classici, un songwriting 
            impegnato, arrangiamenti cangianti e una ricerca intelligente nelle 
            liriche il tutto accompagnato da una produzione molto accurata e moderna. 
             
            Per finire vorrei che tu mi parlassi un po’ della collaborazione 
            fra Erik e l’immenso Keith Emerson, cosa ci puoi raccontare 
            di questa esperienza? 
            Erik ha registrato Keith Emerson nel suo studio varie volte 
            e ha realizzato anche molti campionamenti di synt per gli ELP. In 
            seguito Keith ha scritto la presentazione per il primo album solista 
            di Erik, Threshold, realizzato nel 1997. A seguito delle loro collaborazioni 
            sono diventati veramente amici. Di recente Erik ha suonato sul tributo 
            agli ELP della Magna Carta insieme a Glenn Hughes, Simon Phillips 
            e Marc Bonilla. 
             
            GB 
             
            Recensioni: Revolution Road 
             
            Artisti collegati: Erik Norlander; Mark McCrite; Lana Lane; Ayreon 
             
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