Agostino Macor (La Maschera di Cera, Finisterre e molti altri) torna
dopo una lunga pausa col progetto Zaal, un collettivo molto libero,
che indaga i territori del jazz in modo nuovo e personale.
In questo disco troviamo molte tracce etniche, con l’uso di
diversi strumenti non proprio canonici per il jazz, almeno quello
più conosciuto. Potremmo dire che il retaggio prog di Agostino
ha lasciato il segno ed ha permesso di contaminare il jazz con spezie
e profumi di molte parti diverse del pianeta. Quindi non sorprende
la presenza del sitar, del violino e di diversi fiati. Il tema del
disco è il rapporto tra l’uomo e le macchine, l’ingegno
umano coniugato con la schiavitù inevitabile. A pensarci bene
sembra impossibile tornare indietro, per quanto possiamo provare un
forte fascino per certi modi “antichi” (vedi anche le
tante serie e film sul passato) le macchine sono diventate nostre
inseparabili compagne. La musica è libera e il mellotron duetta
col contrabbasso, il sitar si insinua su percussioni incalzanti e
tutto assume un’aura quasi psichedelica, da trance. In un certo
senso è la stessa sensazione che si prova quando si è
sopraffatti dalla ripetitività di certi meccanismi automatici.
Ma in questo disco c’è l’uomo con la sua abilità,
con la sua capacità di creare e utilizzare gli strumenti e
l’alchimia si fa musica.
Un disco profondo e complesso, ricco di sapori e di situazioni, quasi
interamente strumentale, ma che coinvolge in un ascolto attento e
partecipato. Gran bel lavoro. GB
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