Il leggendario e virtuoso tastierista Don Airey ha trovato una propria
stabile casa nei Deep Purple, nei quali ha preso il posto da ormai
dodici anni del mai abbastanza compianto Jon Lord, ma il suo nome
è citato in oltre duecento dischi da metà anni settanta
ad oggi, annoverando importanti partecipazioni in bands quali Rainbow,
Gary Moore, Ozzy, Judas Priest, Black Sabbath, Jethro Tull, Whitesnake,
Saxon, Wishbone Ash, Steve Vai, Ten, Colosseum II, Sinner, Michael
Schenker, Empire, Thin Lizzy, Brian May e Cozy Powell per citarne
solo qualcuno.
Oggi è giunto il momento del suo quarto album solista dopo
"K2 - Tales Of Triumph & Tragedy" (1989), "A Light
In The Sky" (2008) e "All Out" del 2011. Anche su questo
suo nuovo parto troviamo diversi ospiti che si alternano soprattutto
al microfono, mentre il nucleo inamovibile è costituito da
Darrin Mooney (bt - Primal Scream), Laurence Cottle (bs - Black Sabbath),
Rob Harris (ch - Jamiroquai) e Carl Sentance (vc - Persian Risk).
Con grande gioia scopriamo che su un paio di tracce vi sono registrazioni
inedite di Gary Moore, ma di queste ve ne parlo fra poco.
L'opener "3 In The Morning" è devastante, un hard
rock pieno, tirato e accattivante come sanno essere i migliori brani
dei Deep Purple, la band interagisce che è un piacere e le
tastiere di Don non soffocano gli spunti di voce e chitarra, ma anche
la più rallentata "Beat The Retreat" farà
sognare ad occhi aperti gli estimatori della musica anni settanta,
grazie anche ad improvvisi squarci sinfonici che nella porzione finale
della canzone dà il la ad una gustosa jam session come non
si sente da tempo.
Sulla strumentale "Blue Rondo A La Turk" Don si diverte
a giocare con temi progressivi e classici, ma cinque minuti di durata
sono decisamente troppi e finisco col distrarmi spesso, ma "Solomon's
Song" riesce a tenere più desta la mia attenzione, coi
suoi repentini cambi da delicata ballad a feroce hard rocker con tanto
di torrido assolo di Hammond. "Claire D'Loon" racchiude
diversi stili dal rock al jazz ed alcuni suoi passaggi sono apprezzabili,
ma anche in questo caso il songwriting si dilunga troppo diventando
alla lunga stucchevole.
Non male "Flight Of Inspiration", pomposo e progressivo
frammento di rock anni settanta con buone parti vocali molto ariose
e melodiche, mentre la rivisitazione di "Difficult To Cure 2013",
la celebre elaborazione dei Rainbow dell'Inno Alla Gioia di Beethoven,
mi lascia con sentimenti contrastanti: da una parte è un brano
che mi entusiasma ogni volta che l'ascolto, ma dall'altro vi sono
delle aggiunte che appesantiscono l'originaria cavalcata rock al di
là dell'indiscutibile bravura esecutiva.
Nei sette minuti di "Mini Suite" (citazioni varie compresa
"Black Rose" dei Thin Lizzy) possiamo finalmente gustare
passaggi di chitarra lasciatici da Gary Moore su melodie aperte e
rilassate fino a quando, Don Airey non decide di lasciar andare il
ritmo con una lunga porzione strumentale che sfocia in un finale tipicamente
alla Deep Purple. Sull'intensa e commovente "Adagio" (ispirato
alla famosissima composizione di Albinoni) possiamo godere una delle
ultime incisioni lasciateci da Gary Moore che duetta divinamente con
l'amico Don Airey.
Asciugate le lacrime per tuffarvi nella conclusiva "Grace",
hard rock che riesce far convivere gli storici rivali Deep Purple
(80%) e Led Zeppelin (20%) in un'unico contenitore divertente.
"Keyed Up" è un album di spessore, inattaccabile
da un punto di vista esecutivo, capace di intrattenere con grande
maestria, ma altresì vittima di una certa autoindulgenza che
talora affiora prepotentemente ed appesantisce l'ascolto. ABe
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