Nell’affollata
palestra del goth-metal s’esercitano con costanza pure gli Alchemy
Room i quali, in un unico ciddì, assemblano le tracce del promo
“Origin of fears” del 2008 e dell’ep “A matter
of time” (il quale dovrebbe costituire una anticipazione di
un disco lungo in preparazione).
Purtroppo una produzione povera (ma ribadisco che “Origin…”
è una demo!) non esalta la complessa e finemente intarsiata
struttura di brani che presentano più spunti di interesse,
a loro favore va in fatti ascritta una limpida adesione alla corrente
genuinamente progressiva, con composizioni che, è il caso de
“La fin absolute du Monde” (gran bel titolo!), vanno a
sfiorare il quarto d’ora di durata, mentre le due composite
parti di “Waking the child” assommano addirittura a circa
venticinque minuti totali! Dei tour de force che pochi osano affrontare,
ed ancor meno solo coloro che lo fanno con cognizione, e che gli Alchemy
Room superano con agilità, approfittando inoltre della notevole
estensione delle canzoni per inserirvi porzioni strumentali oniriche
e vagamente inquietanti che arricchiscono di pathos trame ricche di
cambi di tempo e di cangianti atmosfere, ora acustiche e soffuse,
ora decisamente elettriche. La voce di Irene Mondino dimostra già
carattere, Fabio La Manna si accredita quale compositore attento,
l’operato di Mauro Mana (basso) e di Andy O. Monge (batteria)
riesce ad emergere anche se la citata produzione non rende appieno
giustizia proprio alla sezione ritmica; l’ottimamente orchestrata
“Obsession red blood”, dalla palese attitudine cinematografica,
certifica che l’insieme, all’epoca della sua pubblicazione
ancor giuovine, vantando poco più d’un anno di vita,
possedeva già idee chiare circa la direzione da intraprendere,
e sopra tutto una varietà di fonti dalle quali attingere tale
da poter facilmente superare i limiti di genere, nel caso del gothic
metalleggiante troppo spesso auto-imposti per mascherare carenze compositive
imbarazzanti. I tre episodi che compongono “A matter of time”
sono caratterizzati da una maggiore coesione, il processo di maturazione
del quartetto compie un ulteriore step e le striature etniche di “Indigo”
ne sono un evidente indizio, la componente tipicamente oscura s’affievolisce
a vantaggio di soluzioni più fresche che, se ulteriormente
sviluppate in futuro, potrebbero far emergere questi validi musicisti
dalla massa informe di band anonime che infestano il settore.
Affermare che il futuro degli Alchemy Room sia già stato scritto
significherebbe giuocare d’azzardo, e ciò non mi si confà,
sicuramente questi nove brani, sopra tutti i tre di “A matter…”
rappresentano un buon principio di un cammino artistico che, mi auguro,
sia il più possibile durevole. AM
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