Con
Alex Maguire ci addentriamo nella Jazz Rock Fusion, quella eseguita
da artisti come Soft Machine o Nucleus. Una sventata di Scuola Di
Canterbury, il tutto trascritto in chiave moderna. Il tastierista
belga ha studiato con John Cage ed Howard Riley ed ha lavorato con
Michael Moore e con il grande Elton Dean (Soft Machine) , purtroppo
deceduto tre anni fa.
Il bravo pianista si coadiuva di tre componenti della band The Wrong
Object, autrice dell’ottimo disco “Stories From The Shed”
nel 2008, sempre della scuderia Moonjune. Ecco dunque alla chitarra
Michel Del Ville, al basso Damien Polard ed alla batteria Laurent
Delchambre. Completa la band sul palco il sassofonista Fred Delplancq
ed il trombettista Jean-Paul Estièvenart. Un mix di storia
passata, gli ingredienti sono buoni ed aggiungerei anche un tocco
di Hatefield And The North, tanto siamo sempre in campo Scuola Di
Canterbury.
Un talento puro quello di Maguire, un intesa buona con gli ospiti,
un risultato caldo ed avvolgente, come nell’iniziale “Psychic
Warrior”. Il pianoforte parte dolcemente in sordina per poi
crescere assieme alla batteria spazzolata. Le note cadono a goccia
come l’acqua di un temporale, lasciando nell’ascoltatore
una sensazione di leggerezza. In “John’s Fragment”
si aggiunge la band, i fiati ricoprono un ruolo importante, mentre
la ritmica non risulta mai invadente. Quante volte si è detto
dell’importanza di band come i Soft Machine, autrice di una
musica “fisica”, improvvisata e dotata di importante tecnica
e quante altre volte abbiamo sottolineato i suoi proseliti. Ecco qua
un caso lampante, gli Alex Maguire Sextet sono proprio fra questi.
Un suono che si plasma nell’aria, si rincorre da solo e si rende
autocompiacente. Impressionante il monolitico “Saturn”,
in poco più di un quarto d’ora, si apre davanti a noi
lo spirito della sperimentazione e dell’improvvisazione tipica
degli anni ’70. Gli artisti giocano con gli strumenti e si lasciano
andare. Diventano più intimi in “Theresa’s Dress”,
ma è un gioco che chi segue il genere conosce gia molto bene
e lo apprezza. Per non parlare poi della greve “Pumpkin Soup”,
interamente eseguita al piano dalle mani di Alex con l’accompagnamento
del sax di Estivènart. Gli strumenti si inseguono e si raggiungono,
frenate e fughe. Chiude il live “Seven For Lee”, con la
totalità degli artisti all’opera.
Questo è un tassello che non può mancare nella discografia
di chi ama il Jazz, nulla di trascendentale, solo musica eseguita
con il cuore e con la mente e oggi come oggi questo è un fatto
assolutamente raro. MS
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