Rock Impressions

Alex Maguire Sextet - Brewed in Belgium ALEX MAGUIRE SEXTET - Brewed in Belgium
Moonjune
Distribuzione italiana: IRD
Genere: Jazz Rock / Fusion
Support: CD - 2009

Con Alex Maguire ci addentriamo nella Jazz Rock Fusion, quella eseguita da artisti come Soft Machine o Nucleus. Una sventata di Scuola Di Canterbury, il tutto trascritto in chiave moderna. Il tastierista belga ha studiato con John Cage ed Howard Riley ed ha lavorato con Michael Moore e con il grande Elton Dean (Soft Machine) , purtroppo deceduto tre anni fa.

Il bravo pianista si coadiuva di tre componenti della band The Wrong Object, autrice dell’ottimo disco “Stories From The Shed” nel 2008, sempre della scuderia Moonjune. Ecco dunque alla chitarra Michel Del Ville, al basso Damien Polard ed alla batteria Laurent Delchambre. Completa la band sul palco il sassofonista Fred Delplancq ed il trombettista Jean-Paul Estièvenart. Un mix di storia passata, gli ingredienti sono buoni ed aggiungerei anche un tocco di Hatefield And The North, tanto siamo sempre in campo Scuola Di Canterbury.

Un talento puro quello di Maguire, un intesa buona con gli ospiti, un risultato caldo ed avvolgente, come nell’iniziale “Psychic Warrior”. Il pianoforte parte dolcemente in sordina per poi crescere assieme alla batteria spazzolata. Le note cadono a goccia come l’acqua di un temporale, lasciando nell’ascoltatore una sensazione di leggerezza. In “John’s Fragment” si aggiunge la band, i fiati ricoprono un ruolo importante, mentre la ritmica non risulta mai invadente. Quante volte si è detto dell’importanza di band come i Soft Machine, autrice di una musica “fisica”, improvvisata e dotata di importante tecnica e quante altre volte abbiamo sottolineato i suoi proseliti. Ecco qua un caso lampante, gli Alex Maguire Sextet sono proprio fra questi. Un suono che si plasma nell’aria, si rincorre da solo e si rende autocompiacente. Impressionante il monolitico “Saturn”, in poco più di un quarto d’ora, si apre davanti a noi lo spirito della sperimentazione e dell’improvvisazione tipica degli anni ’70. Gli artisti giocano con gli strumenti e si lasciano andare. Diventano più intimi in “Theresa’s Dress”, ma è un gioco che chi segue il genere conosce gia molto bene e lo apprezza. Per non parlare poi della greve “Pumpkin Soup”, interamente eseguita al piano dalle mani di Alex con l’accompagnamento del sax di Estivènart. Gli strumenti si inseguono e si raggiungono, frenate e fughe. Chiude il live “Seven For Lee”, con la totalità degli artisti all’opera.

Questo è un tassello che non può mancare nella discografia di chi ama il Jazz, nulla di trascendentale, solo musica eseguita con il cuore e con la mente e oggi come oggi questo è un fatto assolutamente raro. MS


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