La voce di Angelica è di quelle che non si scordano, sono passati
diversi anni dall’album di esordio, circa undici, ma il ricordo
che ne ho è rimasto vivo. Questa pausa così lunga nasconde
dei gravi problemi di salute, ma il talento di Angelica non poteva
restare inespresso e così ecco questo nuovo disco, nato dopo
una lunga gestazione. È davvero bello e significativo tornare
a parlare della sua musica e della sua voce.
Al disco hanno collaborato una serie molto lunga di artisti e non
è certo un caso perché la nostra in questi anni non
è stata inattiva e ha collezionato diverse esperienze artistiche,
così le tante amicizie si sono tradotte in preziosi contributi
che elevano l’album ad un livello superiore. Musicalmente mi
è sembrato un po’ meno sperimentale del precedente. Angelica
ha puntato molto sui testi e sui suoni, davvero curati, la canzone
d’autore si mescola con musiche diverse, tra fumose atmosfere
jazzate e partiture minimali, tutto accompagnato da uno spirito chansonnière
abbastanza irriverente. Del resto questo album è stato pensato
come un’opera musicale per il teatro.
La sofferenza ha lasciato il segno e le parole escono crude ed esplicite,
addomesticate solo da una metrica calibrata allo scopo di far funzionare
ogni pezzo in modo egregio e l’impregno compositivo si apprezza
traccia dopo traccia. Si tratta di un disco lungo e complesso, i brani
sono diciassette, e lo accompagna un artwork allarmante, dove nel
rosso acceso che domina, e che sembra sangue, si può leggere
una metafora precisa di questo lavoro. Il rosso è soprattutto
il colore della passione e la nostra cantante dimostra di essere autentica,
quasi spudorata nel descrivere una realtà a tinte fosche.
Angelica è un’artista che lascia il segno, lo ha fatto
in passato e continua a farlo. GB
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