Il chitarrista e tastierista norvegese Sigurd Lühr Tonna ha dato
vita a questo progetto ispirandosi a formazioni “aperte”
come gli Oresund Space Collective (coi quali collaborano nel 2007),
per cui non c’è una vera e propria band dietro lo pseudonimo,
ma ruotano diversi artisti. Con questo moniker erano stati pubblicati
un paio di Ep, il primo dal titolo Surf Experience uscito nel 2004,
che faceva riferimento alla musica garage degli anni ’60 e un
secondo dal titolo Lost In The Woods pubblicato nel 2007, più
legato alla musica psichedelica. Ci sono voluti ben sette anni per
ascoltare il seguito di quei lavori. Tempi piuttosto dilatati, ma
abbastanza usuali per molti gruppi nordici.
Il nuovo album è basato sui racconti di Lovecraft e inizia
con la suite”Leviatha Suite”, ci accolgono atmosfere plumbee,
un tappeto di sinth degno delle colonne sonore di Dario Argento, l’influenza
dei Goblin è forte, ci assale un freddo siderale e oscuro di
grande efficacia. Poi il brano inizia a cangiare e si attraversano
momenti puramente settantiani, fino al punto di sembrare un disco
dell’epoca, poi arrivano partiture splendidamente space rock,
che si alternano a momenti di pura psichedelia, con una costruzione
splendidamente prog, che sfocia in un crescendo di indubbia efficacia,
tutto dosato con grande amore e devozione artistica. Un brano che
da solo vale l’acquisto del cd. “The Colour Out of Space”
è una rivisitazione del tipico riffing degli Hawkwind, ma vorrei
spiegarmi, Annot Rhul non copia certi canoni, li reinterpreta, in
un certo senso dà una propria chiave di lettura, fa tesoro
della lezione dei maestri citati e ne continua in qualche modo il
lavoro. Uno dei brani dove questo concetto è molto chiaro è
“Surya”, che contiene in sé tutti gli elementi
propri di questo disco, la rilettura personale di tante influenze
degli anni sessanta e settanta. Fra ambientazioni cariche di mistero,
viaggi interstellari, battaglie psichiche e momenti di estasi onirica
ci si aggira nel mondo musicale di questo artista fortemente visionario
e, per certi versi, molto cinematografico. Grandiosa anche “The
Mountain of Madness”, a tratti spettacolare nella sua potenza
evocativa. Apoteosi finale un’altra suite “R’Lyeh”.
A qualcuno questo potrebbe sembrare un disco retrò, è
vero, ma questo modo di essere retrò è splendido e ci
vorrebbero più artisti capaci di rileggere la musica del passato
in modo tanto personale e creativo. Non c’è molto altro
da aggiungere, la Black Widow ha messo a segno un altro bel colpo
portandosi in casa questo progetto. GB
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