Tra
le mani abbiamo il primo album dei sardi Arkon, Hypericum era un Ep,
un assaggio delle loro potenzialità e devo dire che mi aveva
colpito per un piglio che era sia un omaggio ai classici che una lettura
personale del doom metal. Il cantato in sardo potrebbe far pensare
a qualcosa di esotico e che in questo stia l’originalità
del progetto. Anche, ma per me la loro originalità risiede
nella capacità di costruire brani che intrigano per il loro
sound, che è ricco di richiami folk, non sempre facili da cogliere,
eppure non sfuggiranno agli orecchi più attenti.
Un disco compatto costruito su dieci brani intensi e ben costruiti,
con atmosfere diverse pur nella continuità di un doom metal
che ha radici salde nella tradizione, ovviamente parte dai Black Sabbath
per arrivare ai primi anni ’80 con Angelwitch, Trouble e tanti
altri. La forza di questi musicisti è aver voluto affermare
il legame con le proprie origini, con la propria terra, che pulsa
tra i solchi di questo disco. Non solo per l’uso della lingua
sarda, per i personaggi e le storie, ma anche nei suoni e in alcuni
echi folk che non è difficile individuare. Anche se ad un ascolto
superficiale potrebbe sembrare una proposta convenzionale, non è
così.
La prova sulla lunga distanza degli Arkon conferma tutte le buone
impressioni avute ascoltando il primo Ep. Un gran bel disco di puro
doom metal. GB
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