Paolo Bonifacio è un insegnante di fisica e matematica con
una forte passione per la musica, principalmente suona la chitarra
e canta, ma si occupa anche di effetti che inserisce nella sua musica
dosandoli con sapienza, in modo che tuto risulti attuale pur restando
ancorato ad uno stile che potremmo definire classico. Ha vissuto diversi
anni all’estero accumulando varie esperienze musicali, e all’ascolto
del disco, che suona molto internazionale, il risultato si sente.
I musicisti che collaborano al disco sono eterogenei, si va dal flauto
di Marco Giannetti, alla tromba di Andrea Paganetto, basso e batteria
sono suonati rispettivamente da Timo Orlandi e Stefano Bertolotti.
Poi partecipano diversi ospiti che arricchiscono ulteriormente il
sound proposto.
La formazione di Paolo comprende il blues psichedelico e il prog.
Queste componenti venano i brani proposti nel cd, che a tratti ricordano
un mix di Pink Floyd, Gary Moore e Jethro Tull, senza assomigliare
a nessuno degli artisti citati. Quando ho accennato alla professione
di Bonifacio non l’ho fatto per impressionare il lettore ma
perché l’artista parte da un concetto matematico, il
limite di un’operazione impossibile, zero su zero, per arrivare
ad un concetto filosofico per il quale il risultato di questa operazione
assomiglia ai miliardi di possibili combinazioni della vita, che porta
ciascuno di noi ad essere unico e irripetibile nonostante siamo fatti
tutti della stessa materia. Paolo vuole applicare questo concetto
alla sua musica ed ecco le dodici tracce dell’album, che devo
dire mi hanno colpito, il rock intriso di psichedelia e di costruzioni
progressive è penetrante e ricco di gusto, il blues fa da collante
ma è solo una parte del tutto, quella che governa le melodie,
sempre ficcanti. Se anche le parti di flauto fanno subito pensare
ai Jethro Tull, si tratta comunque di un’associazione sbagliata,
perché l’uso dello strumento è molto diverso,
serve solo per dare una coordinata, la musica composta da Bonifacio
è più nervosa e visionaria.
Il pregio di questo disco è di non sembrare una produzione
italiana, anche l’uso dell’inglese è riuscito,
sembra molto naturale e la musica è ispirata. Davvero merita
una possibilità. GB
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