Non voglio fare la solita carellata retrospettiva, perché Carmine
Appice (batteria) e Tim Bogert (basso) sono due icone viventi dell’hard
rock, mentre i Cactus sono stati uno dei gruppi migliori in campo
heavy boogie ed erano chiamati i Led Zeppelin americani. Della formazione
originale ritroviamo anche il chitarrista Jim McCarty, mentre lo storico
singer è sostituito dall’ottimo Jimmy Kunes (ex Savoy
Brown) che ha una timbrica molto simile.
Questa reunion non sorprende visto che i due sopra citati stanno rispolverando
da tempo vecchie glorie come hanno fatto con i Vanilla Fudge. Si può
discutere a lungo sull’utilità di un disco come questo,
non è certo innovativo e si rivolge prettamente ad un pubblico
nostalgico che ama gli anni ’70 e il vecchio e polveroso hard
rock fatto col cuore.
Quello che si ascolta nelle quattordici tracce che compongono questo
quinto album dei Cactus è appunto il “cuore”. Non
ci sono strane cose, sperimentazioni o diavolerie elettroniche, si
tratta di ottimi musicisti che non sbagliano un colpo, un singer coi
controcoglioni e tonnellate di note roventi come tradizione comanda,
riff che tagliano in due e feeling a piene mani. Il disco è
stato in lavorazione per ben quattro anni a dimostrazione che c’è
dietro anche tanto lavoro e non è stato fatto così su
due piedi tanto per fare una suonata fra vecchi amici. Musica ruvida
e non iper prodotta. Se posso esprimere un giudizio prettamente personale,
devo dire che in questo album ho sentito tanta passione, seguo questa
musica da quasi trent’anni e resta uno dei generi che mi emozionano
di più per cui penso di sapere di cosa parlo.
I Cactus non sono tornati per fare cassa, ma ci regalano un disco
pieno di sostanza e di passione. Quattordici canzoni molto ben assemblate
e varie per oltre un’ora di sano divertimento all’insegna
di un genere che conta ancora molti appassionati che qui potranno
dare sfogo ai propri istinti rockettari. GB
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