INTERVISTA
AI DYNAMIC LIGHTS
di Massimo Salari
Dalle Marche
“Idee in movimento”
L’intervista è stata effettuata con il chitarrista Marco
Poderi
Ciao Marco, è scontato ma anche doveroso fare a voi
i complimenti per questo primo cd ufficiale dopo il demo "Night
Lights" ed il primo ep “Resurection”. Ho avuto una
buona impressione all’ ascolto, la stessa che mi hanno dato
i Mind Key, altro nuovo gruppo Prog metal della scuderia Frontiers.
Grazie! Ciao a tutti, sono felice di questa tua impressione,
tra l’altro sono anche in contatto con i napoletani Mind Key
visto che in occasione del Prog Power, che si terrà in Olanda,
forse anche loro riusciranno a fare una data nel pre-party, mentre
noi suoneremo proprio nel contesto. Come gruppi Italiani siamo solamente
noi, mentre suoneranno nel secondo giorno (quello più orientato
al Prog) anche Wolverine, Pagans Mind e altri gruppi ancora da definire.
I Dynamic Lights esistono gia da molto?
Sono già otto anni, dal 1997. La line-up è
cambiata quasi subito, diciamo che l’ultimo cambiamento è
stato quattro o cinque anni fa, quello del tastierista, ma nel tempo
siamo rimasti sempre gli stessi, io, Marco Poderi alle chitarre, Matteo
Infante alla voce, Simone Del Pivo alla batteria, Raffaele Mariotti
al basso e Giovanni Bedetti alle tastiere. Gia tutti suonavamo prima
in altre band e ci conoscevamo da una vita, quindi siamo proprio una
grande famiglia. L’affiatamento c’è.
Ascoltando “Shape”, non si può non constatare
l’importanza delle tastiere, prerogativa del vostro sound?
Ce l’ hanno fatto notare in molti, ma credimi, nulla
di premeditato. Noi non scriviamo i pezzi per questo o quello strumento,
quello che viene, viene. Ognuno di noi ha il suo stile per esempio
il bassista è molto essenziale e prende molto dalla Fusion
e gli piacciono artisti come Tony Levin o comunque che hanno poco
a che fare con il Prog vero. Giovanni invece ha studiato musica classica
per più di dieci anni, infatti è diplomato al conservatorio.
Per questo credo che il suo piano venga più fuori degli altri
strumenti. Oltretutto gli riesce molto naturale comporre, ha un buon
orecchio per le melodie e di conseguenza è molto attivo all’interno
del gruppo.
Anche la batteria di Simone è importante.
Devo dire per la precisione che tutti noi abbiamo un back
ground che varia parecchio e che si allontana dal Metal, per esempio
proprio Simone per quanto abbia suonato Metal in precedenza (ha inciso
anche un disco con un complesso Power), ha sempre studiato con Jazzisti.
Il padre è Jazzista, ed il fatto di essere cresciuto in questo
ambiente non fa altro che semplificare in lui la possibilità
di suonare controtempi e poli-ritmi e di metterli a disposizione anche
in questo ambito Progressivo. Questo è anche il vantaggio del
nostro genere, quello di non avere limitazioni o barriere.
Come ti spieghi che Il Metal Progressive sia un genere da
noi poco seguito a parte i soliti noti (vedi Dream Theater)?
Se pensi, proprio noi negli anni ’70, ’80 abbiamo
avuto complessi che hanno fatto scuola, non solo in Italia, ma nel
mondo! Non me lo spiego proprio, credo comunque che sia anche una
questione di cultura, è anche un genere difficile, poco commerciale,
non darei solo la colpa ai media. Comunque la gente che ha fatto attenzione
sia ai testi che alla musica di “Shape” è rimasta
tutta felicemente colpita, quindi qualcosa c’è. Una cosa
strana invece è che i Dream Theater da noi hanno un successo
mostruoso, ma nel complesso del genere solo loro, anche se in verità
esistono altre realtà con altrettante buone caratteristiche…
Hai suonato con Daniel Gildenlow dei Pain Of Salvation, cosa
puoi dirci al riguardo?
Aaah, Daniel, che esperienza! Tutti loro sono persone magnifiche
e semplici. Nella serata del party del fanclub italiano dei Pain Of
Salvation non è stato pianificato nulla, ci siamo trovati li
con loro e gli abbiamo detto: "Noi sappiamo fare Inside, l’abbiamo
provata, ti andrebbe di cantarla con noi?" . Lui senza pensarci
su è salito sul palco ed è stato bellissimo! Un esperienza
fantastica.
Avete anche diviso il palco con artisti come i nostri Lacuna
Coil ed i Shaman, che cosa vi hanno dato in ambito di esperienza?
Tanta umanità, i Lacuna Coil sono tranquillissimi.
A fine concerto sono rimasti con noi a parlare, si sono interessati
della nostra musica e anche a quella degli altri gruppi che erano
li. Anche Andrè Matos deve essere esempio per tutti. Al concerto
ci sono stati problemi tecnici dove la voce è uscita pochissimo
e la gente non era poi tutta quella che ci si aspettava, ma lui è
stato ugualmente eccezionale sul palco. E’ sceso ha parlato
con tutti, in Italiano, ed è sempre stato con la gente. Andava
da chiunque lo chiamasse per firmare autografi e scattare foto, una
pazienza incredibile. Umanamente un grande!
Come vi trovate con la DVS records e la Frontiers?
Benissimo. La Frontiers si occupa di noi solo per il suolo
italiano, ma è ricca di consigli e di attenzioni, mentre la
DVS copre il livello internazionale. Siamo felici, per noi è
proprio un buon momento.
Visto che sei di Pesaro, sai cosa sta facendo Paul Chain?
Sinceramente poco o nulla, so solamente che ha abbandonato
il suo monicher e che adesso si fa chiamare con il suo nome e cognome
vero, Paolo Catena. Lo si incontra spesso, ci si parla ed è
sempre curioso ascoltarlo perché è un artista ricco
di esperienza, ma adesso è difficile capire cosa stia facendo.
Di ufficiale non c’è nulla.
Dinamic Light, luci dinamiche, cosa vi ha ispirato il nome?
Agli inizi abbiamo dibattuto molto all’interno del
gruppo per trovare un nome che potesse dare una chiara impressione
di quello che la nostra musica vuol rappresentare. Io ho insistito
molto per Dinamic Light, perché è esempio perfetto del
Prog che si evolve, quindi luci in movimento credo che renda bene
l’idea. L’altro nome in ballo era quello della nostra
band precedente Burning Delight dalla quale abbiamo appunto estrapolato
l’idea delle luci, quindi Prog uguale movimento e luci uguale
sfumature di colore ed intensità dei pezzi.
Vi ritenete una live band oppure siete più a vostro
agio in studio?
Devo dire che in studio ci siamo trovati molto bene, anche
perché quello di Ravenna, il Fear Studio è strepitoso!
Oltretutto chi ci lavora è molto professionale. Per non parlare
del divertimento che abbiamo avuto nello stare insieme per venti giorni,
una grande esperienza che ci ha fatto crescere molto, e poi perché
in studio si impara molto.
Ma è anche assurdo avere una band e non fare concerti, dal
vivo esponi tutto quello per cui hai lavorato. Dal vivo suoni per
il pubblico, non per te stesso ed in più c’è questo
scambio di energia fra l’artista e l’ascoltatore che crea
un feeling energetico pazzesco.
Credi che comporre suite sia oggi come oggi controproducente?
Mah… guarda, il nostro primo demo “Night Lights”
del 1999 è proprio composto da due suite di quindici minuti
l’una e su questo abbiamo ricevuto parecchie critiche. Ci hanno
detto che erano bei pezzi ma forse troppo pesanti. In verità
noi non ci poniamo questo problema, quando scriviamo lo facciamo tutti
assieme, ognuno mette delle idee e poi naturalmente si evolvono.
A proposito di composizione, cosa vengono prima i testi o
la musica?
Entrambi. A volte ad esempio Matteo dice “Ho questo
testo, vogliamo fare un pezzo così?”, e da qui in poi
il brano si evolve. Altre invece si parte da un momento di pianoforte
oppure di chitarra ed il cantante si propone con le sue idee all’ascolto
di quella melodia. Come vedi le cose sono concatenate. E poi noi siamo
fra i pochi gruppi dove anche il batterista mette del suo, infatti
quando senti le ritmiche spezzate, la metà sono opera sua,
insomma piena collaborazione fra di noi.
Parlaci dell’ artwork di “Shape”, secondo
te, le impressioni sono più importanti delle immagini?
Lo ha fatto il nostro bassista! Guardando la nostra copertina
possono venire in mente diverse cose, infatti “Shape”
significa proprio “Forme”. Fluttuante, leggera e poi è
pulita, Raffaele ha fatto secondo me un gran bel lavoro che rispecchia
a pieno il concept dell’album. Si sono d’accordo con te,
a volte le impressioni valgono di più che le immagini.
Qual è la cosa più bella che vi è capitata?
Aaaah… tante! Suoniamo da otto anni, ma in fondo possiamo
dire che ci stiamo affacciando solo ora nel palcoscenico Progressivo
internazionale e per noi questa è solo una delle grandi soddisfazioni
che abbiamo avuto. Abbiamo fatto delle grandi cose nel nostro piccolo.
Ogni concerto per noi è una soddisfazione incredibile e perché
no, anche questa intervista è importante. Andare in concerto
con altri gruppi e socializzarci, rimanere amici anche con molti addetti
ai lavori, scambiare pareri fra di noi, tutto questo è un gran
bel bagaglio di vita che si ricorda con grande piacere.
Invece quali sono stati gli errori che vi hanno aiutato a
crescere?
Io non rimpiango niente di quello che abbiamo fatto. Non
vedo errori che ci hanno aiutato a crescere ma esperienze, preferirei
chiamarle così. Ad esempio quando abbiamo fatto il demo tutti
ci hanno fatto i complimenti, soprattutto per come lo abbiamo registrato,
invece ora a distanza di anni si sentono cose che sarebbero state
meglio farle in maniera differente. E’ chiaro che è l’esperienza
che ci fa accorgere di certe sfumature, ma al momento tutto andava
bene. Per cui, tutto è utile.
Episodi curiosi?
Si, mi ricordo quando siamo andati a registrare “Night
Lights” che la tastiera diede segni di pazzia e ad un certo
punto non suonò più! Clamorosa anche quella volta che
i Pain Of Salvation, a cui suonavamo di spalla, ci chiesero in prestito
le tastiere. Noi felicissimi non ce le siamo fatti chiedere due volte,
tanto più che il nostro concerto era finito, ma incredibilmente
durante l’esibizione non uscì nessun suono! Ci siamo
sentiti proprio…. Mamma mia… che figura!
A quale delle vostre canzoni ti senti più legato?
“Remembrances” ha un testo molto profondo, mi
ricorda sensazioni profonde, riguarda la memoria e credo che sia uno
dei momenti migliori della nostra discografia. “Going To Nowhere”
è un pezzo super energico e strepitoso, vedi, sono due momenti
diversi ma che entrambi rappresentano al meglio i Dinamic Lights.
Ma questo lo dico per ora, perché generalmente ogni ultimo
pezzo che scriviamo ci rappresenta al meglio.
Sono musicalmente parlando più importanti gli anni
’60, i ’70, gli ’80 o i ’90?
Ogni periodo ha avuto tanto da dire cose diverse. Per esempio
gli anni ’70 hanno rappresentato la ricerca, l’evoluzione
in poche parole sono le basi della musica che suoniamo noi oggi. Gli
anni ’80 vedono il boom del Metal, mentre nei ’90 la musica
si è evoluta, o per meglio dire modernizzata. Sono tutti importanti
e tutti portano al risultato di oggi.
In futuro ci sono possibilità di innesto di altri
strumenti nel vostro sound?
Mi piacerebbe sfruttare strumenti come violino oppure il
flauto, ma inseriti solo come collaborazioni, non in pianta stabile.
In futuro con maggiori mezzi perché no? Mi piacerebbe farlo,
ma c’è talmente tanta unione oggi nel gruppo che stiamo
bene così.
Qual è il vostro pubblico?
Credo che siano giovani fino la trentina, più o meno,
ma apprezzo tantissimo anche chi ha un età più importante
e che ascoltandoci ci apprezzano e ci danno buoni consigli. La nostra
musica si presta essenzialmente ad un ascolto senza età.
Avete date imminenti?
Si, a primavera siamo in tour con i svedesi Nightingale e
toccheremo terre come la Danimarca, la Germania e l’Olanda.
Sarà sicuramente un esperienza grande.
Per concludere, cosa consigli ai nostri lettori ?
Di ascoltare più gruppi italiani e di visitare il
nostro sito www.dynamiclights.net
Grazie a tutti e speriamo di vederci anche in concerto!
Salari Massimo
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