Non
è da tutti unire eccezionali qualità esecutive a genuina
capacità compositiva. Sovente accade che le doti tecniche delle
quali si è dotati tendano a prevaricare inevitabilmente sul
sentimento, sull'espressività. Non è il caso, fortunatamente,
degli statunitensi Enchant.
Fin dal loro esordio, avvenuto ben dieci anni or sono (era in fatti
il 1994, pare un secolo, quando vide la luce quel piccolo capolavoro
titolato "A blueprint of the world", sotto la guida illuminante
di Steve Rothery dei Marillion), i cinque di San Francisco hanno saputo
ben bilanciare forma e sostanza. La nutrita discografia, ben sette
albi fino ad oggi, lo dimostra. "Live at last" costituisce
utile compendio sia per chi dei nostri già possiede tutto ma
pure per coloro che all'universo Enchant intendono solo ora accostarsi.
Un mondo fatto di melodia, di trasporto e, sopra tutto, di belle canzoni.
Quelle che alla fine rimangono, decretando o meno il successo di un
ensemble.
Questo esaustivo live è stato registrato ad Oakland, quindi
sulla porta di casa, e consta di un congruo numero di canzoni, ventritrè
suddivise in due dischetti. E' disponibile pure una versione in DVD,
arricchita dai soliti gadgets digitali quali photo gallery (dell'esibizione
californiana e del tour europeo del 2003), interviste alla band ed
agli estasiati fanatics, prove...
Belle canzoni, citavo poc'anzi, estratte da tutti i dischi, dal citato
esordio fino al più recente "Tug of war", passando
per "Wounded", "Time lost", "Break",
"Juggling 9 or dropping 10" ed infine "Blink of an
eye", interpretate con gusto e trasporto da un combo al top della
forma: Ted Leonard si dimostra vocalist partecipe e discreto intrattenitore,
Doug Ott è chitarrista sensibile, le tastiere di Bill Jenkins
costituiscono irrinunciabile spina dorsale di ogni pezzo, la sezione
ritmica appannaggio del drummer Sean Flanegan e del bassista Ed Platt
è rocciosa ma pure fantasiosa... Lo dimostra "Progtology",
strumentale dimostrazione di forza del quintetto: una volta terminata,
nell'ascoltatore residuerà una gradevole sensazione di appagante
stupefazione. Chiara dimostrazione di classe e di discrezione.
Ecco come celebrare degnamente il decennale di una band che, probabilmente,
in termini di riconoscimento universale ha raccolto meno di quanto
meritava. Ma questa, pur troppo, non è una novità, sopra
tutto in un'epoca come quella che viviamo, ove la qualità pare
dote da ricercare con tenacia e da capitalizzare con attenzione. AM
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