Avete
presente quando la copertina di un disco vi ispira? E’ stato
subito amore a prima vista e pensate che non sapevo neppure di quale
musica si trattasse! Il nome è a me sconosciuto, infatti la
biografia allegata mi presenta un trio al proprio esordio ufficiale,
dopo un primo EP.
Un libretto dai disegni gotici, malinconici e fantasiosi mi fanno
intuire che la band in esame ama trattare argomenti sperimentali,
che siano Metal Prog? Il dubbio non sparisce all’istante perché
“Every Ending Has A Beginning” è solo un intro,
ci pensa “Tedium” a chiarirmi le cose. Una qualità
sonora discreta accompagna l’ascolto rendendolo ulteriormente
interessante. Quest’anno, l’ho gia detto altre volte,
il Metal Progressive sta mutando gradatamente, staccandosi dai canonici
stereotipi e questi Enochian Theory sembrano essere un ulteriore tassello
di questo nuovo puzzle sonoro. Dunque un suono potente ci travolge,
specie quando intervengono le tastiere. Gotico Progressivo, a momenti
vicino ai Paradise Lost, in altri agli Opeth oppure ai Katatonia,
ma quello che colpisce è la personalità della band.
Carattere da vendere ed intelligenza compositiva trasuda dalle note
che incantano per soavità, ma senza fidarsi troppo, perché
quando meno te lo aspetti gli Enochian Theory ti aggrediscono alle
spalle. Davvero bella la voce di Ben Harris-Hayes (Chitarra), non
solo come interpretazione, ma anche come timbrica.
La ritmica è nelle mani di Shaun Rayment (basso) e di Sam Street
(batteria), davvero una coppia bene affiatata. Il disco contiene tredici
brani, per una durata totale di cinquanta minuti. C’è
anche del growling in “Apathia”, controtempi e rabbia
Nu Metal, questo per farvi capire quanto “Evolution: Creatio
Ex Nihilio” sia enigmatico e miscelato di generi. Parti acustiche
si alternano a bollente lava sonora di metallo pesante, sempre offuscati
da un velo di goticità. La musica è legata dai suoni
naturali (tipo acqua) e non, facendo sembrare il tutto una enorme
suite. Si ascoltano molte fasi orchestrate, grazie alla The Lost Orchestra,
come in “The Fire Around The Lotus”. Un connubio elettrico-acustico
davvero ben riuscito e dal buon impatto emotivo. Chiude “A Manument
To The Death Of An Idea” (titolo anche dell’EP d’esordio)
e a me cinquanta minuti sono sembrati un attimo.
Piacevole sorpresa, buona musica anche se malinconica, con Ben Harris-Ayes
un palmo sopra a tutti. Soddisfatto e nome segnato nel mio taccuino
dei gruppi da seguire in futuro con attenzione. MS
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