Fra le nostre mani un disco che raccoglie vari pezzi di questo gruppo
americano registrati fra il 1979 e il 1983, ma che per varie vicissitudini
hanno visto la luce solo nel 1999. Ma prima di entrare nel contesto
del cd, ricordo che l’America è sempre stata la patria
della musica generalmente commerciale, ovviamente mi riferisco al
campo Pop Rock, e quindi enorme calderone di generi e di culture.
Raramente si è saputo creare un prodotto veramente personale,
ma quando ci si è riusciti il risultato è stato stupefacente.
Perché questo preambolo? Per rispondere alla domanda: "gli
Hobbit sono dei grandi, oppure una vera “ciofeca”? Nulla
di tutto questo, sono la classica eccezione che conferma la regola.
Un perfetto connubio fra la cultura musicale Europea di quegli anni
e quella Americana completata da una buona dose di personalità.
Two Feet Tall è un disco che dunque raccoglie vari momenti
della loro carriera, anche con brani registrati dal vivo. Per far
comprendere a chi non conosce il combo che cosa ci spetta fra i solchi
diciamo che personalmente ho percepito influenze di Yes, Rush, Queen,
Jethro Tull e primi Judas Priest.
La prima traccia “Midyear’s Eve” ci accoglie con
un ritornello decisamente accattivante. La voce di Gene Fields sembra
uscita da Jon Anderson (Yes), mentre prova a cantare con i Rush! Questo
ovviamente colpisce l’ascolto, ma ancora di più lo fa
l’assolo di chitarra nel momento centrale. Performance live
per il secondo “Two Feet Tall”, Rock semplice, immediato,
come piaceva ai primi Queen. “Love Is Forever” invece
è una ballata che inizia con una chitarra classica sostenuta,
nel suo evolversi, dalle tastiere di Richard Hill, che suona anche
la chitarra. Lo spiccato senso di melodia perfettamente americano
si manifesta in tutto il suo splendore e se gli Yes fossero nati in
questa terra avrebbero sicuramente suonato in questa maniera. E’
la volta di “Up And Down” , con il suo ritmo scanzonato
dettato ancora dalle tastiere. Esso sa trasformarsi in un Rock che,
non so perché, mi fa venire alla mente certe cose di D. Bowie.
Ma ecco il brano che sa conquistare il mio cuore Progressivo,”Intensity”
. L’inizio folcloristico, il ritmo cadenzato, ma soprattutto
il suo inesorabile crescendo mi rapisce con se. Grande la chitarra
di Hill e questa, vi assicuro, è una canzone che sembra uscita
da un disco degli attuali Shadow Gallery. Ma tutto scompare con la
successiva “The Christmas Song”, nella sua semplicità,
nei suoi richiami acustici degni dell’altro Anderson progressivo,
quello dei Jethro Tull, ammiccante e natalizio, carino ma niente più.
“The Way We Are” vive in un’atmosfera greve aperta
da un organo e proseguita in un mid tempo accattivante, mentre “Taking
Your Heart Away” è ancora un classico anglo-americano
Hard Rock con buoni assoli di chitarra elettrica.
Ecco ora gli Hobbit più scontati, quelli che sembrano dettati
dalle leggi del mercato discografico, è la volta di “Need
Your Love” del più recente (si fa per dire) 1983. E’
il pianoforte che apre la canzone ruffiana , ma sembra già
stata sentita in un qualsiasi altro disco di quegl’anni. Il
prog c’è o non c’è? Eccolo di nuovo prepotentemente
con la sperimentale “Puppets”, vera e propria boccata
d’ossigeno con arpeggi Marillioniani era “Script….”
ed un ottima interpretazione vocale da parte di tutto il gruppo. Geniale.
Hobbit dunque Doctor Jeckyll e Mister Hyde? Forse per noi europei
è così, chiude il cd per la cronaca “Till I Get
Your Brek”, “Take Me Tonight” e “Faggots In
The Fire”.
Sostanzialmente mi sento di consigliarlo a chi ama l’Hard Rock
semplice ma che è aperto anche a nuove soluzioni. Ad altri
lo consiglio per trascorrere cinquanta minuti veramente spensierati.
Niente male. MS
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