| Ecco 
            che ritroviamo il supergruppo formato da Ty Tabor (King's X), John 
            Myung (Dream Theater) e Rod Morgenstein (Dixie Dregs) a due anni dal 
            disco d'esordio, anche se il presente progetto è la continuazione 
            dei Platypus, che in formazione vantavano anche la presenza del tastierista 
            Derek Sherinian (ex Dream Theater), autori a loro volta di due album.
 Visti i nomi coinvolti in molti si aspettavano l'ennesimo side project 
            dedito al prog e invece per le mani abbiamo un disco che si pone come 
            crocevia fra i King's X e lo Stoner. La presenza di musicisti di grande 
            talento come Myung e Morgenstein conferisce una grande solidità 
            al sound di questo supergruppo e la carica di Tabor assicura un songwriting 
            di grande qualità. Il risultato è un disco più 
            duro rispetto a quanto partorito dai King's X, ma non poi così 
            lontano.
 
 Già dall'iniziale "Not Today" sembra di essere tornati 
            indietro di trent'anni con il suo riff scarno e diretto, solo le vocals 
            ci ricordano che siamo in altri tempi, molto godibile la sezione ritmica, 
            Rod dimostra come si può fare del rock granitico e vario al 
            tempo stesso. Le melodie solari di Ty esplodono nella seguente "Coming 
            Round", con un giro acustico che si alterna a quello elettrico, 
            fantasmi dei Beatles che giocano con i Jane's Addiction. "Empty" 
            è più abrasiva, con Rod che impreziosisce il brano, 
            ma è un pezzo che richiede più ascolti per essere digerito. 
            "Drop the Gun" è una traccia dal sapore psichedelico, 
            un brano che dal vivo si presta a lunghe jam session, molto emozionale. 
            La seminale "Allison" riporta un po' di adrenalina, ma "Maybe" 
            è atmosferica e rilassata. Il riff stoppato di "She Was 
            Alone" è di quelli che ti smuovono, miele... ooops... 
            marmellata per le mie orecchie. Dopo un brano riempitivo arriva un'altra 
            ballad semi acustica molto settantiana, che bel sentire, ma la tirata 
            "Runaway" è ancora meglio riversando sull'ascoltatore 
            una valanga di energia. Ma il brano migliore del disco è la 
            conclusiva "War Is...", un brano con profonde radici nel 
            passato e al tempo stesso proiettato nel futuro prossimo, una prova 
            di grande carattere.
 
 I The Jelly Jam possono sembrare uno dei tanti progetti minori che 
            in questi anni proliferano per la disperazione delle nostre tasche, 
            ma la classe dei nostri è una garanzia su cui vale la pena 
            di investire. GB
 
 Artisti correlati: King's X, Ty Tabor
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