Fra le gemme da riscoprire dei primi anni ’70 brilla sicuramente
questo unico album dei Jerusalem (da non confondere con una band svedese
dei primi anni ’80 con lo stesso nome) che è stato prodotto
niente meno che da sua maestà Mr Ian Gillan, che faceva anche
da manager al gruppo e per loro spese parole entusiasmanti. I Jerusalem
sono quindi da annoverare nel gruppo piuttosto folto delle meteore
o se preferite one shot band, ma il loro disco è un concentrato
di idee e di energia, ovviamente sono molti i dischi buoni anche se
poi la band non ha avuto la forza o la coesione per continuare il
cammino e riscoprirli è davvero interessante, ma questo titolo
omonimo si erge una buona spanna sopra la media.
La formazione a cinque è tutta molto giovane e comprende il
vocalist Lynden Williams, i chitarristi Bob Cooke e Bill Hinde, il
bassista Paul Dean e il batterista Ray Sparrow. Il loro sound può
essere descritto come una via di mezzo fra i primi Blue Cheer e i
Cream con un’attitudine veramente heavy, le due chitarre creano
dei refrain vorticosi, spesso molto ruvidi e sporchi, che in certi
momenti fanno pensare ad un proto punk, ma anche all’heavy metal
dei primi ’80. Il risultato è spettacolare e altamente
coinvolgente.
L’opener “Frustration” è una vera killer
song, il riff di chitarra è secco e veloce, energia allo stato
puro, si sente proprio tutta la carica emotiva di un gruppo di ragazzi
con la forza di cambiare il mondo. “Hooded Eagle”, parte
con un giro blues, quasi uno stop rispetto al brano precedente, ma
che dopo poche note diventa rovente, il cantante offre un’interpretazione
ricca di pathos e sono ancora scintille. “I See the Light”
spinge ancora più sul blues, ma il ritmo stoppato e tutto da
godere, bellissimo il crescendo finale. “Murderers Lament”
ecco che emerge la vena più doom del gruppo, brano più
teatrale ed epico, che mostra le ottime qualità compositive
della band, verso la fine il tutto prende dei connotati prog, meno
spettrali, ma comunque godibili. L’hard rock essenziale torna
orgoglioso in “When the Wolf Sits”, ottimo il lavoro di
chitarra e grande prova di Williams. “Midnight Steamer”,
pur essendo un ottimo brano, non aggiunge nulla a quanto già
espresso. “Primitive Man” riporta la bussola sul doom
più sulfureo, in quegli anni di sperimentazione non era una
scelta stilistica, solo vibrazioni e che risultato, l’interpretazione
poi di Williams è carica di rabbia, spettacolare. “Beyond
the Grave” nonostante il titolo, non è così ossianica,
piuttosto è teatrale e psichedelica, con un giretto di chitarra
orientaleggiante. La parte ufficiale del disco si chiude con l’anthemica
“She Came Like a Bat From Hell”, che titolo per un brano
molto energico e ancora sperimentale nei suoni delle chitarre.
C’è posto poi per cinque bonus tracks, la prima è
estrapolata dall’unico singolo e porta il titolo di “Kamakazi
Moth”, un brano dalla cadenza molto beat, ma con dei suoni acidi
decisamente hard rock, davvero bella. Le altre quattro sono versioni
demo con un altro cantante meno dotato e una b-side edita anche su
Lp, tutto sommato un discreto compendio.
Questa ristampa è ufficiale ed è stata realizzata con
la collaborazione di Paul Dean che ha fornito i master originali,
per cui si tratta di un lavoro fatto decisamente bene, con un booklet
molto ricco e curato, con tutti i testi e belle foto d’epoca.
I Jerusalem purtroppo, nonostante le ottime premesse si sciolsero
per riformarsi in parte col nome di Pussy e sempre sotto la guida
di Gillan, il loro stile ricorda vagamente gli Staus Quo, ma pubblicarono
solo un singolo, l’album invece, riesumato dalla polvere, ha
visto la luce solo di recente sempre su Vintage Records, ma questa
è un’altra storia. Se amate l’hard rock dei seventies
non fatevi sfuggire questo titolo. GB
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