Si
citava sovente l'attitudine, allorquando lo sleaze furoreggiava nei
locali a la page di L.A. e dintorni, agente chimico fondamentale che
sosteneva schiere di coloratissime gang dedite ad un rokkaccio sporco
e sboccato. Bei tempi. Destinati all'archivio? No, c'è ancora
qualche volonteroso che tiene tenacemente accesa la fiammella, anzi,
negli ultimi anni si è notato più di un segnale incoraggiante.
I Johnny Burning sono italiani, ed alla faccia di tanti loro colleghi
tenuti in vita più che per il passato glorioso che per evidenti
meriti (chi ha detto Pretty Boy Floyd? Dai, siate buoni, sennò
è come sparare sulla Croce Rossa!), possiedono una carica lasciva
non indifferente.
Bypassata l'intro, "Wrong shape" e "Devil inside"
tracciano il solco, e da questo non ci si sposterà d'un millimetro,
avanti dritti alla meta! Si dice che i locali tra Imola e Bologna
ben conoscano ormai le loro imprese, bene, allora è tempo di
uscire dagli angusti (ma sovente appaganti) ambiti della provincia,
e di gettarsi a capofitto nell'avventura. Un pizzico di glamour a
la Motley (vedi "Idiota" che paga dazio al grande "Dr.
Feelgood") affiora qua e là, eppoi Manuel ha una vocetta
che è troppo ammiccante, ascoltato su "Burning miracle"
(un bel cazzotto, dritto in volto!) fuga ogni dubbio: un grande! Le
chitarre di D.B. e di Niko sono caricate al massimo (trasudano la
grinta primordiale degli Skid Row e dei Roxx Gang, ma pure di gruppi
più recenti, che qui non voglio citare per rispetto nei confronti
dell'italico combo), la sezione ritmica assicura una base granitica,
con Rob alla batteria ed Elvis al basso (sostituito di recente da
Cesko) che non cedono di un millimetro; "Time to rock" è
puro rock'n'roll da balera, scritto apposta per divertire, la ballatona
"Shine" pare uscita dal songbook dei Poison più ispirati,
"Rock in the USA" è un manifesto ed allo stesso tempo
un'esortazione (sì, che si risveglino pure dall'altra sponda
dell'Atlantico!), con le sei corde ad intrecciarsi, "Turn down
just to leave it" si bagna nelle calde acque del blues, ed allora
ricominciamo daccapo! Le basi ci sono (i nostri hanno studiato a fondo
pure Aerosmith e Van Halen, e si sente soprattutto su "Sassie
Lassie Goose"), ma a tratti emergono pure scorie di Shotgun Messiah
e di altri delinquenti.
Di moderno c'è ben poco, tra i solchi di "Get up, get
loose, get off!", eppure il disco non suona assolutamente datato,
tutt'altro! Un doppio esordio più che positivo, essendo neo
nata pure la label che patrocina questo incendiario dischetto: la
Street Symphonies Records un primo passo positivo lo ha già
compiuto, e chi ben comincia... Un bel voto lo meritano entrambi,
dateglielo voi, dopo aver mandato a memoria queste dieci perle di
puro ed incontaminato sleaze rock! AM |