Nero come la sua copertina, "Metropomorphic" è il
punto d'incrocio di coordinate stilistiche che all'electro ci portano
ad oltrepassare i confini del trip-hop, ridisegnando la mappa di territori
sonici ancora parzialmente inesplorati.
La title-track incede lenta e solenne tra i resti di capannoni industriali
abbandonati, "Ebony" e "Lorenz butterfly" scivolano
come gocce di pioggia sul vetro incrostato d'una stanza che è
ricetto d'una umanità senza speranza, per non averla nemmeno
mai conosciuta, "Charon" vorrebbe fuggire lontano, oltre
la cortina di caligine che serra questa città avvolta nel buio,
perchè non verrà più l'alba di un nuovo giorno.
Massimo "Momo" Di Leo e Stefano "Cheta" Calore
(ma il progetto coinvolge Michele Bernardi e la cantautrice Giovanna
Lubjan, eccellente su “Wordless insignificance”, alle
voci, stranianti e perfettamente incastonate nel mood umbratile di
queste dieci tracce, interpreti delle liriche profonde di Devis Galesso)
citano i Kraftwerk ed i Depeche Mode più dark, ma anche i selciati
umidi di pioggia di Bristol, ed i suoi vicoli che si diramano dal
porto, come chi vuol fuggire dallo squallore e dalla miseria di una
vita condotta ai margini d’una società vuota, spietata,
e dai suoi illusori luccichii che titillano sogni impossibili destinati
tosto a tramutarsi in incubi (i peggiori incubi…). Ma in “Allow
me” (testo della Lubjan che canta, ancora una volta, meravigliosamente),
v’è un lontano spiraglio di luce, che s’intravvede
appena, ma che potrebbe aumentare...
Disco che conferma la presenza di realtà valide e sorprendenti,
e la vitalità dell’underground italiano. Merito della
Nomadism avere evidenziato così precisamente le potenzialità
di questo duo di esploratori dell’oscurità interiore
che ogni uno di noi reca nel proprio animo. AM
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