I Killer Bee non sono dei novellini, essendosi formati nel 1990 ed 
            avendo pubblicato tre albums e cinque singoli prima di sciogliersi 
            nel 1997. Nel 2011 sono tornati in vita col solo cantante Brian Frank 
            a reggere il testimone della primissima line-up, mentre Morgan Evans 
            (bt) e Anders Rönnblom (bs) sono nella band dall'album "World 
            Order Revolution" del 1997; Jimmy DeLisi (ch) e Denny DeMarchi 
            (tast, ch) completano i ranghi sin dal disco di rientro "From 
            Hell And Back" (2012). 
             
            Sono sincero ed è il mio primo approccio con la band canadese/svedese/americana 
            e non ne esco assolutamente dispiaciuto, anche se va subito chiarito 
            che il loro hard rock viscerale non apporta alcuna novità stilistica. 
             
            L'opener "Children Of The Evolution" è piuttosto 
            insolita, trattandosi di un potente e cadenzato slow tempo dalla maestosa 
            enfasi epica sottolineata dal cupo e massiccio suono delle chitarre 
            e da un Hammond drammatico e classicheggiante su cui Frank sfodera 
            un cantato virile ed enfatico, un buonissimo inizio che può 
            fuorviare in quanto le altre canzoni non seguono questo standard sonoro. 
            Infatti, a partire da "A Little Too Old" i Killer Bee tornano 
            su sentieri che, stando a quanto ho letto, appartengono maggiormente 
            al loro passato, ovvero un hard rock scintillante e melodico che ammicca 
            al glam metal anni ottanta. La citata "A Little Too Old" 
            ne è manifesto insieme alla scatenata "Ride On", 
            mentre le dinamiche e veloci "I'm On Fire" e "Scream 
            It" sono manifestazioni di potenza heavy rock a briglia sciolta. 
             
            La power ballad "All The Things You Say" ricordano una versione 
            più heavy e grossolana dei Mott The Hoople o del Ziggy Sturdust 
            che fu, con la strofa sulla falsariga di "Wonderful Tonight" 
            (Eric Clapton) ed un senso generale di avere dinanzi di Quiet Riot 
            alle prese con una cover pop-rock anni settanta. L'intro organistico 
            di "Let's Dance" porta immediatamente la mente ai Deep Purple, 
            ma il resto del brano si rivela più vicino ai primi Motley 
            Crue imbastarditi con l'hard rock britannico. "Got Your Number" 
            recupera il feeling dell'hard glam rock europeo anni settanta e lo 
            fa rivivere coi suoni di oggi, il sofferto lento tastieristico "Dust 
            Of An Angel" è stata realizzata col gusto dei fini cesellatori 
            di una volta, grazie al gran lavoro di DeMarchi e ai precisi interventi 
            della solista di DeLisi, brano di livello decisamente superiore agli 
            altre due ballads "If We Die Tomorrow" (immaginate Ozzy 
            mescolato ai Mamas And Papas per avere un'idea) e la decisamente meno 
            riuscita "Maybe Baby" che contiene però un gran bell'assolo. 
            "Gimme A Taste" emana forti soffi del potente southern rock 
            assimilato ascoltando Lynyrd Skynyrd, Molly Hatchet e Blackfoot e 
            rappresenta un piacevole diversivo in un album che già di suo 
            non si crogiola intorno ad un unico modello. 
             
            "EC" si rivela un lavoro solido e variegato, senza particolari 
            demeriti come pure priva di quegli elementi che fanno decollare un 
            disco oltre la soglia del tempo. ABe 
             
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