Parlare 
            dei Kingdom Come significa parlare di Lenny Wolf leader indiscusso 
            della band che, nel lontano 1988, riuscì a vendere ben un milione 
            di copie in America con l’omonimo disco d’esordio grazie 
            ad una manciata di canzoni che rimandavano esplicitamente alla musica 
            dei Led Zeppelin. 
             
            A ben 16 anni da quell’album e dopo 8 dischi, molti dei quali 
            passati, ad onor del vero, nell’indifferenza generale, il buon 
            Lenny riparte da zero e, forte del contratto con la sempre più 
            attiva Frontiers, pubblica questo ‘Perpetual’. Una collezione 
            di 11 canzoni (più una bonus track) magnetiche e cariche di 
            pathos, dal sound generale molto scuro ma allo stesso tempo estremamente 
            melodiche, nelle quali è possibile ritrovare Zeppelin, elettronica 
            e qualcosa degli ultimi Queensryche. 
             
            Lenny, come un novello Kravitz (ma molto meglio del caro Lenny, credetemi) 
            suona e programma ogni strumento lasciando gli interventi di chitarra 
            solista a Eric Foerster. L’intero disco pur nella modernità 
            dei suoni recupera dal passato l’arte di sorprendere l’ascoltatore 
            scegliendo di dare alle canzoni “respiro” attraverso l’uso 
            della dinamica. 
             
            La prima traccia, ‘Gotta Move Now’, sembra partire come 
            un pezzo elettronico per poi sfoderare un riff killer molto sabbatthiano 
            e cui fa eco la chitarra di ‘Hang ‘em Down’ granitica 
            canzone con bel break centrale dominato dal basso. ‘Crown Of 
            Moskow’ è forse il vero gioiello del disco, così 
            drammaticamente romantica e melodica con una grande interpretazione 
            vocale di Lenny che, quando si permette di essere se stesso, rivela 
            tutte le sue qualità di cantante. In ‘Time Of Realign’ 
            torna a dominare il basso per poi lasciare il campo ad un break maligno 
            e potente di chitarra. Le citazioni nei confronti della premiata ditta 
            Page & Plant continuano ad essere presenti, basta ascoltare ‘With 
            The Sun In Mind’, con quel suo incedere maestoso e possente, 
            ma queste non screditano il pezzo, aggiungono colore semmai. Se c’è 
            un difetto nel disco questo sta nella scelta di mid tempos che alla 
            lunga rendono l’ascolto faticoso, specie nella seconda parte 
            del disco che può comunque contare su ‘Connecting Pain’ 
            una sorta di Zeppelin, Sabbath e Soundgarden riuniti insieme e sulla 
            dolce ballata acustica ‘Inhaling The Silence’. JM  |