I Kosmos sono un supergruppo canadese, che spicca per la presenza
di Michel Langevin (Voivod), formatosi nel 2005. Il nome richiama
alla mia mente due parole, cosmico e cosmopolita, il primo vuol dire
spaziale, universale, il secondo cittadino del mondo, sintesi perfetta
di tutto quanto questi musicisti freakettoni rappresentano. Ovviamente
i riferimenti primi vanno al krautrock, con Embryo in testa, ma anche
Amon Duul, Schulze, Popol Vuh, Gong e Hawkwind. Space rock quindi
senza limiti, ma anche ampie dosi di psichedelia e di musica elettronica.
Fin dal primo ascolto questo disco sembra fare un viaggio indietro
nel tempo di trent’anni, nella tradizione musicale che abbiamo
già richiamato. Si parte con le follie della visionaria “Psycho”,
una partenza davvero strana e che non riflette pienamente il sound
che andremo ad ascoltare nei brani successivi, qui lo space rock viene
mescolato anche con elementi funky e rhythm ‘n’ blues,
fantastico il giro di basso centrale che lancia il solo di hammond
ad alto tasso di nostalgia. Molto carina la cantilenante “Dream”,
un po’ bolero e un po’ elettronica. “Grand Grizou”
è dominata da un hammond infernale, che sciabola note su note
sull’ignaro ascoltatore, da brivido per chi ama questo particolare
strumento. “Yawa” è una breve traccia sperimentale
rumorista, seguita dalla sciamanica e orientaleggiante “Indu
Kush”, il primo brano che, senza indugio alcuno, mi ha fatto
venire in mente gli Embryo con i suoi accenni world music mescolati
alla psichedelia. “Much Too Old” riporta in auge gli Hawkwind
del periodo The Chronicle of the Black Sword. “Kosmos”
è un altro brano rumorista e sperimentale, in fondo questa
è la vera anima del gruppo. Guarda caso è seguita da
“Krautrock”, che non ha certo bisogno di presentazioni…
Le meditazioni elettroniche arrivano con la siderale “Septial”,
Schulze a go go. “Amerique Innavouable” è piuttosto
indefinibile, uno dei pochi brani cantati e che presenta suoni vagamente
hard rock. Con “Mothership” siamo ancora in pieno space
rock con tanto di percussioni tribali, primitivo e futuro si incontrano
in una improbabile linea d’ombra. Chiude “Messe Noire”
un titolo sinistro per un brano di puro hard rock, una chiusura energica.
I Kosmos sono un gruppo stravagante e anche molto derivativo, la loro
musica ha un tasso nostalgico molto elevato e non sembra offrire spunti
di modernità, questa è la critica maggiore che penso
si possa fare, d’altro canto sono anche una band perfettamente
calata nel proprio mondo musicale e questo loro disco da un punto
di vista stilistico è praticamente perfetto, a volte un po
noiosetto, ma è il classico caso “se questo disco fosse
uscito nel… sarebbe un capolavoro!” ma non lo è.
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