Leif
Edling, già bassista dei Candlemass, ha dato vita a questo
nuovo progetto e rimane fedele alla linea. Fare un disco doom oggi
per molte ragioni è una scelta difficile e controcorrente:
non sono più gli anni ottanta quando Trouble, St Vitus e Candlemass
guidarono nuove schiere di adepti verso i tenebrosi lidi del dark
sound sabbathiano.
Negli anni novanta ci hanno riprovato i Cathedral senza un particolare
seguito, mentre da alcuni anni le sonorità doom sono abbracciate
da varie formazioni Stoner fra cui meritano di essere ricordate gli
Orange Goblin, gli Electric Wizard e gli Spirit Caravan, ma d'altra
parte il doom ha premiato ben pochi artisti relegando i più
ad una ristrettissima cerchia di appassionati e non c'è bisogno
che vi ricordi i casi nazionali.
Anche la critica specializzata non è mai stata molto generosa,
caratterizzando (spesso a sproposito) l'artista di turno come un clone
più o meno riuscito dei Black Sabbath. Personalmente ritengo
che questo sia un peccato e un enorme errore, perché il doom
è un genere molto intenso, carico di una forza drammatica dal
grande potere evocativo, che manca al resto del panorama musicale
contemporaneo.
Certo non è musica per tutti e Leif sa perfettamente che non
farà soldi coi Krux, ma si è preso l'onere di portare
avanti con grande passione un genere tanto "difficile".
Ecco allora che si sgranano i nove brani come un mesto cammino di
passione con i titoli che, quando non sono espliciti, suonano come
oscuri anagrammi ("Omfalos") o sono rovesciati ("Evel
Rifaz").
La musica si rifà inevitabilmente ai precursori con Sabbath
in prima linea, ma non mancano i momenti in cui il gruppo propone
soluzioni interessanti come nella formidabile "Lunochod"
che da sola vale tutto il disco. GB |