Sono oramai pochi gli estimatori del “Metallo” che non
conoscono la voce dei Dream Theater, una fonte d’ispirazione
per un buon 70% di band Metal Prog. L’impostazione è
immediatamente riconoscibile, alta e decisamente melodica, modulata
il tanto che basta per unire la tecnica con il cuore. Molto ha gridato
il canadese James LaBrie fra i solchi dei Dream Theater, ma anche
in moltissime altre collaborazioni e progetti, come i Mullmuzzler,
i Frameshift, Winter Rose, Leonardo e Tim Donahue su tutti, ma con
il passare del tempo gli acuti lasciano spazio a più ragionati
portamenti, un poco come ha fatto il suo illustre collega Jeoff Tate
(Queensryche). Vogliamo chiamarla età? Esperienza? Io dico
tutte e due, resta il fatto che l’energia della musica proposta
è comunque intatta, così come l’approccio canoro.
Il ritorno in studio dal titolo “Static Impulse” ci narra
di un artista mai sazio, famelico di musica, in questo caso però
più distante dai canoni della band madre. Francamente la copertina
non è delle più indovinate, lascia presagire una freddezza
generale, anche se lo sguardo penetrante sembra voler rovistare nella
nostra mente. Effettivamente c’è un velato senso di distacco,
un compito ben eseguito, professionalmente parlando ineccepibile,
perfino profondo in alcuni frangenti, tuttavia le melodie spesso sono
inflazionate e malgrado la grande adrenalina elargita, si incappa
in qualche sbadiglio. Parlo di energia, quella che apre nei due brani
“One More Time” e “Jekyll Or Hyde”, ma io
che seguo il Metal da trent’anni non resto scalfito, forse colpa
mia e della mia esigenza, ma certe alternanze con voci graffianti
non mi piacciono più. Molto meglio in “Euphoric”
o nella possente “Over The Edge”. Sono i ritornelli che
si sciolinano stancamente, mielosamente, dove le nostre orecchie vengono
bombardate da numerosi deja-vu. Ottimo il lavoro della band, una ritmica
impeccabile, quella di Peter Wildoer (Batteria) e di Ray Riendeau
(Basso), mentre è la chitarra del nostro Marco Sfogli che è
protagonista. Timide le tastiere di Matt Guillory, ma al momento giusto
sanno farsi valere.
Tutto il disco vive di ritmiche sostenute, bisogna giungere al brano
“Just Watch Me” per cogliere un sentore di pacatezza,
ma la voce di LaBrie non vola, pochi gli spunti elevati, in definitiva
un disco ben prodotto, con grandi artisti, buona musica (a tratti),
ma che sono sicuro lascerà poche tracce nei cuori dei fans,
sia dei Dream Theater che di LaBrie stesso.
Consigliato un momento di riposo e di riflessione, io sono leggermente
deluso. MS
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