Nell’atmosfera raccolta di un Viper Theatre attento e composto,
Greg Lake ripercorre assieme al pubblico gli highlights dei suoi oltre
quaranta anni di leggendaria carriera.
Come in uno stream of consciousness, il ritmo dei ricordi e degli
aneddoti - gustosi e carichi di emozione personale – a corredo
di ogni pezzo introdotto scorre liberamente nel tempo e nello spazio
del grande frontman, bassista e chitarrista. Lake non esita a condividere
con tutta la platea fiorentina il diario in musica della propria carriera,
e mescola con maestria i propri livelli di coscienza di musicista,
dal bambino Greg che sognava una chitarra (esperienza tradotta in
musica in Lucky Man, composta proprio con i primi accordi imparati
da undicenne), all’adolescente fan accanito di Johnny Kidd and
the Pirates, fino ai capolavori assoluti concepiti con i King Crimson
prima e nel sodalizio con Emerson e Palmer poi, senza trascurare gli
incontri, i luoghi, le vicende che hanno segnato negli anni tutta
la sua vita artistica.
Ad introduzione di I talk to the wind, per esempio, Lake narra la
tragica vicenda del poco più che ventenne Barry, artista ispirato
e sfortunato, il cui cuore si arrestò solo pochi giorni dopo
aver consegnato a Fripp e soci, dipinta su un banale cartoncino marrone
ritagliato, quell’immagine del volto dell’Uomo schizoide
del Ventunesimo Secolo che divenne la copertina di una delle pietre
miliari della musica moderna, In the Court of the Crimson King.
Controbilanciando tragedia e commedia, come la coerenza con le sorti
della vita impone ad uno show che si propone come autobiografico,
Greg Lake passa subito dopo a raccontare gli incontri più recenti
e piacevoli, su tutti quello con Ringo Starr e dei Beatles esegue
una fedele ma gustosa versione di You've Got to Hide Your Love Away.
Il palco spoglio, essenziale; l’allestimento limitato alle sole
chitarre che Lake suona nella serata, una sedia e qualche album di
cui chiacchierare. Poche luci, soffuse, ad illuminare appena l’artista
e lo strumento che sta suonando.
Tutto è confidenziale, intimo, in divenire.
L’imminente arrivo del Natale chiama, com’è ovvio
che sia, I Believe in Father Christmas. Il ricordo di un lontano pomeriggio
a Parigi, all’ascolto di un’emula di Edith Piaf, apre
al pubblico il processo creativo a monte di C’est la vie.
Composizioni strumentali come Karn Evil 9, maestose, talvolta curiose
con il loro sapore di cocktail di sintetizzatore e folk, si alternano
alle ballad più romantiche, come Long Goodbye e Still You Turn
Me On.
Con la peculiare semplicità degli artisti davvero grandi, Greg
Lake regala una magnifica serata di spettacolo, di belle vibrazioni
e di splendida musica.
di ANGELA PECCERINI
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