Il batterista Lele Borghi in realtà è un polistrumentista
piuttosto stimato nel circuito underground italiano, per anni leader
dei MamaMiCarburo, ha condotto una carriera all’insegna della
grande qualità, questo è il suo primo disco solista
e in questo lavoro ha messo a frutto la sua grande esperienza, un
disco molto ricco, che mette in mostra tutto il talento di Borghi.
Ho conosciuto Lele in occasione dell’ultima calata italica del
cantante irlandese Andy White, che da anni si fa accompagnare da Borghi
in giro per l’Europa e che ha dato un contributo in un brano
del presente cd, con un set acustico essenziale, che ha messo in risalto
la sensibilità artistica di entrambe i musicisti e devo dire
che sono rimasto molto colpito proprio dal lavoro di Lele alla batteria.
Così ci siamo conosciuti ed ho provato fin da subito una grandissima
simpatia per questo artista e ora sono contento di presentare questo
suo lavoro.
La prima canzone è la title track scritta a quattro mani con
White, un brano rock sincopato, con un bel riff che suona abbastanza
originale, rock essenziale cantato in inglese, c’è energia
e rabbia e una bella melodia di fondo. Anche il secondo brano “The
Sun Never Shine On Your Own” è stato scritto con White
che lo ha anche cantato e ha suonato l’ukulele. Si tratta di
una ballata molto vicina allo stile folk dell’irlandese, suonata
con intensità e ci mostra tutto il carattere internazionale
di Borghi. “In a Blink of an Eye” propone un rock energico,
dominato da un drumming pulsante e ancora da melodie intriganti. “Beautiful”
è un altro brano che colpisce per l’originalità
della sua linea melodico ritmica, Lele ha qualcosa da dire e lo dimostra,
il finale però sembra un po’ incompiuto. “By the
Light of the Moon” è una ballad sempre poco convenzionale,
mentre l’amore per il drumming torna prepotente in “Put
Six in Nine”. L’amore del nostro comunque sono sempre
le belle melodie ed ecco allora la piacevole “Still Love You”,
che non ha bisogno di grandi presentazioni, una bella ballata d’amore.
Non male anche il giro intrigante di “Walking”, un rock
apparentemente morbido, ma che in realtà graffia. Si termina
con “We Don’t Want” costruita su un discreto crescendo.
Non credo che Borghi abbia voluto cambiare le regole del gioco, lui
vuole fare la sua musica e condividerla con noi e lo fa nel modo migliore,
con uno stile personale e sincero, tutto da gustare. GB
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