Rock Impressions

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******* OVER THE TOP *******
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Levin Minnemann Rudess LEVIN MINNEMANN RUDESS
Levin Minnemann Rudess
Lazy Bones Records
Distribuzione italiana: -
Genere: Virtuoso / Prog
Support: CD - 2013

- English version


Tony Levin, è quasi impossibile per un appassionato di rock non avere almeno un disco alla cui riuscita Levin ha contribuito, uno dei massimi interpreti del Chapman Stick, ma anche al basso fa meraviglie, un vero fuoriclasse. Marco Minnemann, recentemente l’abbiamo ammirato al seguito dell’astro crescente Steven Wilson, ha iniziato con band metal come i Kreator per contribuire poi ai lavori di Paul Gilbert e Joe Satriani, il suo drumming è dinamico e ricco di fantasia. Jordan Rudess, prima coi Dixie Dreags di Steve Morse (Deep Purple) e attualmente è il tastierista dei Dream Theater, ovviamente anche il suo è un bel biglietto da visita. Tre virtuosi riuniti per un nuovo progetto, ovviamente la curiosità c’è.

La dinamica ed epica “Marcopolis” segna l’avvio del cd, un brano scoppiettante e luminoso, che vede grandi passaggi tecnici, Levin e Minnemann sono una sezione ritmica da paura e Rudess non è certo da meno e sfodera dei solismi eccellenti, una maratona che incoraggia all’ascolto attento di tutto il seguito del cd. “Twitch” è più oscura e molto progressive, i duelli fra Levin e Rudess sono da brividi, mentre Marco sfodera dei passaggi ritmici da mal di testa. “Frumious Banderfunk” è potente, l’incedere è lento con un buon groove, Rudess e Levin si alternano nelle parti soliste, mentre Marco di diletta con tempi davvero complessi, l’ultimo solo di Jordan poi è davvero pazzesco. “The Blizzard” è più pacata, domina il feeling, un brano romantico, dove il virtuosismo è al servizio della melodia, ma sono ugualmente brividi. “Mew” tra tempi e controtempi è ancora una volta terribile, da ascoltare e riascoltare. Non c’è certo il tempo per riposare le orecchie che ecco altri due rompicapo con la breve ma intensa “Afa Vulu”, seguita dall’apparentemente semplice “Descent”. “Scrod” è stata scelta per presentare il disco, molto prog e inizialmente non così vivace come altre, ma verso metà prende quota con un crescendo molto intenso. “Orbiter” è più sperimentale, quasi space rock, onirica, ma che classe però. Un po’ simile come tema musicale è “Enter the Code”, in questo frangente i musicisti hanno un po’ deposto le armi e si sono dedicati a composizioni meno scoppiettanti, ma dense di gusto. Un calo? Macché ed ecco arrivare l’irrequieta “Ignorant Elephant”, che numeri. “Lakeshore Lights” è molto jazzata, meno immediata dei brani più rock è comunque sempre molto godibile. Molto sperimentale nei suoni anche “Dancing Feet”, di certo qui si esprime maggiormente la creatività dei nostri. A “Service Engine” il compito di chiudere questo scrigno di magie, un disco pieno di ottimi momenti, che si conclude con un brano raffinato, sempre ad alto tasso tecnico, ma anche con un gran cuore.

Una volta c’erano i supergruppi e quasi sempre facevano scalpore, suscitavano grande interesse e viva curiosità, oggi forse ci siamo abituati alle collaborazioni trasversali, quindi vedere insieme il nome di questi tre musicisti pazzeschi potrebbe non fare più un grande effetto su pubblico e critica, ma sarebbe un peccato se questo nuovo progetto subisse questa sorte, perché questi tre fuoriclasse hanno dato vita ad un disco brillante ed entusiasmante come pochi, musica piena di brio, dove l’alto tasso tecnico è veramente messo a servizio dell’ascoltatore. GB

Intervista a Tony Levin




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