Ora, come ci dicevano i nostri genitori, mettetevi seduti che vi racconto
una bella storia. Non abbiamo più sentito questa frase da anni!
Ce la ripropone la rinomata band lombarda Lingalad, con la bontà
di narrarci ben quindici nuove storie. Erano cinque anni che non sentivamo
più il gruppo da studio, “Lo Spirito Delle Foglie”
è stata una buona raccolta di inediti che ha lasciato ai posteri
una band decisamente in forma. Giuseppe Festa (voce, chitarra e flauto)
e la sua band, ritorna oggi supportata dalla Lizard Records, dove
Loris Furlan ha dimostrato di avere lungimiranza ed un gusto per la
cultura indie davvero spiccato. E’ così che da questo
connubio nasce “La Locanda Del Vento”, oltre che il titolo
dell’album è anche quello di una vera e propria collana
sonora all’interno della Lizard. Prima di addentrarci nei racconti,
tengo a sottolineare la bellezza dell’artwork che accompagna
il cd, una volta tanto, ben curato e ricco di descrizioni. Ogni storia
è ben rappresentata dalle matite di Alessandra Simonini.
Antiche narrazioni incise nel legno, insieme suggestivo coronato dalla
musica Folk del disco. Festa si circonda di artisti come Fabio Ardizzone
(basso), Giorgio Parato (batteria, chitarra e piano), Claudio Morlotti
(chitarre e strumenti antichi) oltre che da special guest del rango
di Davide Camerin (voce in “Toni Il Matto”), Gianni Musy
e Davide Perino (“I Boschi Della Luna”), Roberto Scola,
fisarmonica in “Il Profumo Del Tempo”, Francesca Cazzulani
voce in “Alice” e Sara Romoli voce in “Aria Oltre
Le Stelle”. Sederci nella Locanda Del Vento, comporta udire
storie che si perdono nel tempo, è il vento che le porta e
in qualche modo le rende eterne, altrimenti perse nei meandri dell’oblio.
“Il Profumo Del Tempo” lascia una lacrima di resina profumata
e densa, dove chi narra si smarrisce nei propri sogni. La musica che
compone i brani si alterna fra Rock moderno e frangenti cari a tratti
anche al grande Branduardi. Il flauto spesso e volentieri riporta
la mente al Pop Rock degli anni ’70, così certe chitarre
come nell’ottima e descrittiva “Gli Occhi Di Greta”,
quando una cieca osserva meglio il mondo di chi ci può vedere.
Come in tutte le fiabe non può mancare il bosco, una storia
di incendi e fulmini, sorretta da una colonna sonora di natura più
cantautoriale, comunque sempre attempata. Uno dei brani più
belli del disco si intitola “Toni Il Matto”, struggente
e profonda, narra di un uomo con una scheggia in testa rimediata in
guerra. Questa canzone potrebbe uscire benissimo dalla discografia
del poeta De Andrè. Colpisce il testo di “Madre Mia”,
scritto da Gianni Musy, ma non ritengo giusto proseguire una narrazione
che può solamente togliere il piacere di scoprire da soli nuove
fiabe.
Vi assicuro che la musica è piacevole, perché unisce
la cultura dei tempi passati con buone soluzioni moderne, un disco
maturo e profondo. Chi ha detto poi che la musica non ha un profumo?
MS
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