Qualcuno cataloga questi Long Distance Calling sotto il filone prog,
ma a mio parere è una definizione che potrebbe fuorviare più
di un lettore. Questo quintetto tedesco atipico: due chitarre, basso,
batteria e ambience (qualcosa che assomiglia al computer programming),
si dedica ad un rock prevalentemente strumentale molto libero, che
spazia dallo space rock, al post rock, alla psichedelia, a lunghe
jam sessions, all’hard rock, insomma ce n’è per
tutti i gusti. Quello che è certo è che i Long Distance
Calling sono piuttosto originali e fuori dagli schemi.
Avoid the Light, se non ho capito male, è il loro secondo album
propone delle cavalcate molto energiche, che possono essere accostate
al prog per la libertà e la complessità di certe strutture,
ma che al tempo stesso non assomigliano ai gruppi di prog a cui siamo
solitamente abituati ed è proprio per questo che catturano
un’attenzione tutta particolare. Se proprio volete un accostamento
mi sono sembrati una versione aggiornata degli Hawkwind.
Questo album contiene sei lunghe traccie, di cui cinque strumentali
e una cantata dall’ospite Jonas Renske (Katatonia), il lato
psichedelico è quello dominante, con grande attenzione alle
parti di chitarra, che hanno spesso il sopravvento sul resto, anche
se non vanno mai alla ricerca di un solismo, piuttosto cercano di
creare dei moods sovrapponendo vortici di riffs ipnotici che si susseguono
impietosi. Il risultato è sicuramente suggestivo, anche se
un po’ più di cantato non mi sarebbe affatto dispiaciuto,
come infatti dimostra “The Nearing Grave” abbellita dal
contributo di Renkse, anche se si stacca molto come struttura dal
resto dei brani del cd.
I LDC sono una band dalla forte personalità, stanno cercando
strade espressive personali e per questo meritano tutta la nostra
attenzione, anche se credo i risultati migliori debbano ancora arrivare,
ma le premesse sono già parecchio interessanti. GB
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