Questo progetto nasce da un idea di Manuel Jensa (ex Ipernova), musicista
dell’underground romano, che ha chiamato prima il chitarrista
Maurizio Bidoli (Fingernails), poi dopo varie vicende la svolta decisiva
arriva con l’incontro di John Garcia dei famigerati Kyuss (e
poi anche con Unida ed Hermano), spostatosi negli States arriva anche
l’incontro con Mark Duda (The Handful), che darà l’impulso
definitivo per la nascita dei Mad City Rockers. Il disco viene registrato
negli USA e questo si sente nella resa dell’album che in effetti
suona molto “americano”. Un contributo decisivo alla riuscita
del tutto l’ha dato anche il batterista Valter Sacripanti che
ha collaborato con Ivan Graziani, Nek e la Bertè.
Il genere preselto da questi musicisti è il Southern Rock,
che è quasi più una filosofia di vita, che non un genere
musicale vero e proprio. Una scelta che sorprende un po’ visti
gli artisti coinvolti, un po’ perché sono quasi tutti
italiani e un po’ perché Garcia viene dallo stoner, ma
questa formazione è stata accettata nella Southern Rock Society,
una vera garanzia, una specie di lascia passare che certifica la qualità
del progetto. Del resto come abbiamo detto le registrazioni sono state
curate degli States e questo ha giovato molto al risultato finale,
non sono del tutto convinto che non si sarebbero potuti ottenere gli
stessi risultati qui in casa nostra, ma indubbiamente la scelta è
stata azzeccata.
Undici composizioni roventi e taglienti, grazie ad un southern vivace,
legato alla tradizione, ma non nostalgico, hard rock quanto basta,
non troppo legato al blues più classico e comunque molto pulsante,
ottime le prove di ogni musicista. Ogni brano è di buon livello,
non c’è una canzone che spicca sulle altre, e c’è
anche una certa omogeneità che da coesione all’album.
Molto curato l’artwork del cd, che esce in due versioni, che
merita una menzione. Certo se penso a certe produzioni degli anni
d’oro del genere, sento anche una certa distanza da questo disco,
non perché non sia bello, ma perché mi sembra manchi
un po’ di quello spirito selvaggio che animava certi dischi,
ma Black Celebration è un buon disco che, se suonato ad un
volume adeguato, può regalare più di un’emozione.
GB
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