Rock Impressions

Màelstrom MAELSTROM - Màelstrom
Black Widow
Distribuzione italiana: Masterpiece
Genere: Prog
Supporto: CD - (1973) 2013


I Màelstrom sono un’oscura band americana che nel 1973 incise questo album all’insegna del prog più sperimentale ed evoluto, sulla scia di gruppi come Gentle Giant, Soft Machine ed Henry Cow, ma attento anche a musicisti classici come Stravinsky e Holst e alla musicalità immaginifica degli Yes. Il disco però è stato stampato solo nel 1990 circa da una piccola label ed è ormai introvabile, oggi la Black Widow finalmente ristampa il lavoro e soprattutto gli dona la dignità del vinile, il formato più degno per questa gemma ingiustamente dimenticata al tempo in cui venne prodotta. A questo punto bisognerebbe aprire una parentesi sul prog americano, questo grande sconosciuto, che vanta alcune gemme degne di attenzione, certo sono tutte band da cercare con pazienza e costanza, ma che offrono grandi emozioni e non sto parlando dei soliti Dream Theater o degli Spock’s Beard, ma di formazioni settantiane.

Comunque non è questo lo spazio ed è opportuno a questo punto addentrarci nei meandri di questo disco sorprendente. “Ceres” apre il disco con una partitura sognante, vagamente californiana, ma subito entrano delle avvisaglie grandiose e un hammond si insinua malandrino, un mix di psichedelica e di rock sinfonico che fa subito volare la fantasia, poi entra anche il flauto e tutto assume l’aspetto di un prog molto classico, del resto siamo nel ’73, ma tutto è molto cangiante e nel pezzo ci sono mutazioni continue. E cosa dire del vibrafono che domina l’avvio di “In Memory”, certi suoni non possono non risvegliare in noi desideri arditi, ma ad un certo punto il brano sembra diventare un racconto fantasy messo in musica e a questo punto il godimento è massimo, se chiudo gli occhi mi sembra di vedere degli hobbit che zampettano nella stanza! “The Ballonist” non è meno avvincente e contiene una cavalcata centrale da brividi, le parti vocali sono ridotte al minimo, molto misurate danno le giuste pennellate alla grandiosità della musica della band. “Alien” mi ricorda anche certe intuizioni di Hammill e dei suoi VDGG, peccato per la brevità del pezzo che fa veramente vibrare. Molto sognante è l’avvio di “Chronicles”, è un brano un po’ di passaggio, che apre a “Law and Crime” che ha una bellissima melodia del cantato, poi ci sono sempre vibrafono e flauto che da soli valgono il pezzo, ma anche la sezione ritmica non scherza, poi alla fine subentra anche un deciso assolo di chitarra. Molto lirica è “Nature Abonds”, una ballata, quasi una ninna nanna, che accarezza i sensi con la sua dolcezza. L’album del ’73 si chiude con la bellissima “Below the Line”, che all’inizio ha un sapore folk cantautorale, poi pian piano prende forza in un crescendo molto piacevole. Gli ultimi due brani proposti sono registrazioni dal vivo risalenti al 1980 con una formazione pesantemente rimaneggiata, i titoli non appartengono all’album e sono prima “Opus None”, che ha un incedere epico e vagamente space rock, il livello è sempre alto, ma c’è meno la poesia iniziale, a favore di una forza espressiva comunque accattivante. Chiude “Genesis to Geneva” che è ancora più psichedelica, la registrazione è buona ma non eccezionale, il gruppo comunque mostra sempre grande personalità.

Rimane un mistero come un disco così bello sia rimasto dimenticato per tanti anni, certo con tanti capolavori a disposizione, questo si aggiunge alla lista dei più curiosi e difficilmente troverà la gloria che avrebbe meritato, ma possiamo sempre cercare di ristabilire un po’ gli equilibri. GB


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