I Màelstrom sono un’oscura band americana che nel 1973
incise questo album all’insegna del prog più sperimentale
ed evoluto, sulla scia di gruppi come Gentle Giant, Soft Machine ed
Henry Cow, ma attento anche a musicisti classici come Stravinsky e
Holst e alla musicalità immaginifica degli Yes. Il disco però
è stato stampato solo nel 1990 circa da una piccola label ed
è ormai introvabile, oggi la Black Widow finalmente ristampa
il lavoro e soprattutto gli dona la dignità del vinile, il
formato più degno per questa gemma ingiustamente dimenticata
al tempo in cui venne prodotta. A questo punto bisognerebbe aprire
una parentesi sul prog americano, questo grande sconosciuto, che vanta
alcune gemme degne di attenzione, certo sono tutte band da cercare
con pazienza e costanza, ma che offrono grandi emozioni e non sto
parlando dei soliti Dream Theater o degli Spock’s Beard, ma
di formazioni settantiane.
Comunque non è questo lo spazio ed è opportuno a questo
punto addentrarci nei meandri di questo disco sorprendente. “Ceres”
apre il disco con una partitura sognante, vagamente californiana,
ma subito entrano delle avvisaglie grandiose e un hammond si insinua
malandrino, un mix di psichedelica e di rock sinfonico che fa subito
volare la fantasia, poi entra anche il flauto e tutto assume l’aspetto
di un prog molto classico, del resto siamo nel ’73, ma tutto
è molto cangiante e nel pezzo ci sono mutazioni continue. E
cosa dire del vibrafono che domina l’avvio di “In Memory”,
certi suoni non possono non risvegliare in noi desideri arditi, ma
ad un certo punto il brano sembra diventare un racconto fantasy messo
in musica e a questo punto il godimento è massimo, se chiudo
gli occhi mi sembra di vedere degli hobbit che zampettano nella stanza!
“The Ballonist” non è meno avvincente e contiene
una cavalcata centrale da brividi, le parti vocali sono ridotte al
minimo, molto misurate danno le giuste pennellate alla grandiosità
della musica della band. “Alien” mi ricorda anche certe
intuizioni di Hammill e dei suoi VDGG, peccato per la brevità
del pezzo che fa veramente vibrare. Molto sognante è l’avvio
di “Chronicles”, è un brano un po’ di passaggio,
che apre a “Law and Crime” che ha una bellissima melodia
del cantato, poi ci sono sempre vibrafono e flauto che da soli valgono
il pezzo, ma anche la sezione ritmica non scherza, poi alla fine subentra
anche un deciso assolo di chitarra. Molto lirica è “Nature
Abonds”, una ballata, quasi una ninna nanna, che accarezza i
sensi con la sua dolcezza. L’album del ’73 si chiude con
la bellissima “Below the Line”, che all’inizio ha
un sapore folk cantautorale, poi pian piano prende forza in un crescendo
molto piacevole. Gli ultimi due brani proposti sono registrazioni
dal vivo risalenti al 1980 con una formazione pesantemente rimaneggiata,
i titoli non appartengono all’album e sono prima “Opus
None”, che ha un incedere epico e vagamente space rock, il livello
è sempre alto, ma c’è meno la poesia iniziale,
a favore di una forza espressiva comunque accattivante. Chiude “Genesis
to Geneva” che è ancora più psichedelica, la registrazione
è buona ma non eccezionale, il gruppo comunque mostra sempre
grande personalità.
Rimane un mistero come un disco così bello sia rimasto dimenticato
per tanti anni, certo con tanti capolavori a disposizione, questo
si aggiunge alla lista dei più curiosi e difficilmente troverà
la gloria che avrebbe meritato, ma possiamo sempre cercare di ristabilire
un po’ gli equilibri. GB
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