Immagino che sapete cosa accade, quando per le mani capita un disco
che grazie alla copertina ed all’artwok in generale ci colpisce.
Poi se parliamo di Progressive Rock, l’artwork è esplicito
e fa da spia infallibile del contenuto sonoro. Immagine e musica per
la mente. Mi giunge il disco dei Mechanical Butterfly, italianissimi,
fra Catania ed Acireale e l’impatto visivo è di quello
giusto appena descritto. Questo mi fa un gran piacere, perchè
ultimamente non è che ci siano state uscite dettagliate al
riguardo, è anche vero che la Ma.Ra.Cash Records ci ha comunque
abituati da anni a realizzazioni importanti in ambito del genere.
La cover art è di Giuliana Pulvirenti mentre la grafica è
a cura di Stefano Somogyi, semplice, lineare, con foto e scritture
dei testi nitidi e leggibili nero su bianco.... Una volta tanto!
Il progetto Mechanical Butterfly nasce nel 2006 grazie alla collaborazione
tra i due chitarristi Alessio Oranges e Dario Laletta, con il contributo
di Giovanni Valastro ai fiati ed alle tastiere. Realizzano subito
un ep dal titolo omonimo, per poi arricchirsi e mutare di line up
nel tempo, con la giunta di Andrea Zappalà alla batteria e
Giuseppe Padalino al basso, entrambi già membri della cover
band Aracne. Dopo qualche mese si unisce anche la tastierista Laura
Basile.
Nell' aprile del 2007 Francesca Pulvirenti entra nel gruppo come cantante,
così nel maggio 2008 giungono all’autoproduzione del
secondo EP "Mechanical Butterfly". Fra radio locali, siti
web e quant’altro, l’interesse intorno al gruppo sale.
Dopo altri movimenti interni, la formazione si stabilizza con Francesca
Pulvirenti (voce), Alessio Oranges (chitarra), Laura Basile (tastiere
e synth), Roberto Marano (basso) e Toti Bella (batteria). Fa dunque
piacere una volta tanto ascoltare Progressive Rock con componenti
al femminile e “The Irresistible Gravity” ne è
degno rappresentante.
Il disco è composto da otto canzoni cantate in inglese, compresa
la bonus track “La Fenice”.
Si comincia con “Suoni Dalle Stelle”, strumentale psichedelico
che fa da apripista all’altrettanto strumentale pezzo dal titolo
“Labyrinth Of Doors”. Vigoroso Rock che va a pescare in
diversi stati d’animo, fra New Prog e note provenienti dalla
Scuola Di Canterbury. La sezione ritmica funziona bene e si ritrova
in ogni passaggio con semplicità. La band non tenta di strafare,
piuttosto cura molto la parte melodica della musica, rendendo l’ascolto
scorrevole. La chitarra traccia percorsi immaginifici, lasciando libero
sfogo al suono di per se preso come sensazione, aiutato da ottimi
effetti, alternandosi a quello più canonico del riff che in
questo caso risulta di facile memorizzazione. Le tastiere seguono
a ruota.
Con “Marks Of Time” ascoltiamo la bella voce di Francesca,
intenta a destreggiarsi fra Rock Progressivo e Metal Prog dalle tinte
gotiche. Subentra prepotentemente anche la formula canzone che sembra
funzionare bene, anche grazie ai cambi umorali e ad una registrazione
sonora veramente buona. Il flauto che interviene di tanto in tanto
è veramente un ospite gradito! Non nascondo che alcuni fraseggi
sonori dettati dall’elettronica, miscelati con sferzate metalliche,
mi fanno venire alla mente gli olandesi Ayreon. Ma sono solo brevissimi
ed isolati istanti.
“The Alchemist” prosegue le orme del brano precedente,
fra cambi di ritmo ed ottimi interventi di basso. La tecnica individuale
dei componenti fa sfoggio delle qualità e hanno ragione da
vendere, tuttavia quello che funziona nella musica dei Mechanical
Butterfly è l’insieme e la cura per gli arrangiamenti.
Ammaliante il momento psichedelico del brano, davvero coinvolgente
emotivamente.
“Emerald Tears” si apre con un nostalgico pianoforte e
voce, formula sempre emozionante che difficilmente tradisce nel risultato.
Qui Francesca da il meglio di se in quanto a patos. Bravissima anche
Laura Basile. Si riparte al confine del Metal Prog con “Sparks
Within A Downpour” Il frangente che colpisce di più è
l’assolo di chitarra.
Più ricercata e Psichedelica la strumentale “Gravity”,
ed il disco si conclude con la bella “La Fenice”, con
Dario Laletta alla chitarra e da Gianlorenzo Di Mauro al basso.
Quello che scaturisce con veemenza dall’ascolto dell’album
è la consapevolezza di trovarsi avanti ad una band che non
è di sicuro un mordi e fuggi, bensì ragazzi dalla buona
personalità che sanno cosa vogliono. Come avrete avuto modo
di capire non li ho paragonati a grandi dinosauri del passato o ad
artisti del momento (avrei potuto farlo), questo per sottolineare
il fatto che hanno molta farina del proprio sacco. E pensare che questo
è un esordio.... Fatelo vostro assolutamente! MS
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