INTERVISTA
CON JAMIE FIELD DEI MERMAID KISS (versione
inglese)
di Giancarlo Bolther
Ciao
Jamie, per cominciare puoi farci un po’ la storia del vostro
gruppo?
Ho incontrato Evelyn per la prima volta qualche anno fa,
quando era quattordicenne. Mia moglie è un’insegnante
ed Evelyn era una delle sue studentesse di teatro. All’epoca
era già una flautista discreta ed era appassionata di composizione,
quindi quello è stato il momento in cui è nato il gruppo,
il momento in cui ci siamo seduti a comporre canzoni. Non molto tempo
dopo ci hanno chiesto di scrivere della musica per un paio di progetti
locali, per il breve film horror “The Vawn” e per la “stage
production” della Dodicesima Notte di Shakespeare. Dopo aver
composto la musica abbiamo cercato in giro un posto dove registrare,
una delle attrici, Kate Garman, ci disse che suo marito Andrew aveva
un piccolo studio di sua proprietà, così ci siamo conosciuti.
Registrare quei progetti è stato così divertente che,
una volta finiti, abbiamo deciso di continuare a lavorare insieme
e così è nato il nucleo dei Mermaid Kiss. Poi sono arrivati
quelli che possiamo definire come componenti “associati”
alla band, Nigel Hooton che suona la chitarra solista e che è
stato molto coinvolto nella realizzazione di Etarlis. Lui e Andy nel
passato avevano già suonato insieme. Kate Belcher, come Evelyn,
proviene dalla nostra città Kington e si è unita a noi
quando Evelyn è andata all’Università. Wendy Marks
suona tutti i tipi di fiati in legno e il doppio basso. La prima volta
che ho diviso il palco con lei è stato più di vent’anni
fa, quando eravamo in un gruppo di Londra dal nome Close To Zero e
da allora siamo sempre rimasti in contatto. Siccome per Etarlis cercavamo
qualcuno che suonasse degli strumenti a fiato, lei era la scelta più
ovvia.
Per il nostro album The Mermaid Kiss, io, Andy ed Evelyn ci siamo
occupati di tutto da soli, abbiamo composto e suonato tutti gli strumenti.
Evelyn si è occupata di tutte le parti cantate e delle armonie,
insieme abbiamo curato il missaggio, la masterizzazione e l’artwork.
È stata un’esperienza di apprendimento enorme e una delle
lezioni più importanti è stata che è meglio se
qualcuno ti da una mano, quindi nei due lavori successivi abbiamo
deciso di inserire degli ospiti. Per Salt On Skin, un’amica
di Cheltenham, Kate Emerson, aveva cantato alcune parti principali,
mentre Evelyn era intenta a curare i finali e Kate Belcher stava studiando
per degli esami. Paul Davies, della formazione originale dei Karnataka,
ha contribuito come ospite alla canzone “The Blushing Bride”.
Su Etarlis si è unito a noi Jonathan Edwards alle tastiere
su un brano, anche Jon come Paul è stato nei Karnataka e ora
sono entrambe nei Panic Room. Troy Donockley, degli Iona, ha aggiunto
uno splendido assolo con l’Uillean Pipe in una delle canzoni.
Infine tutto il mixing e il mastering è stato curato da Andy.
Di cosa parlano le canzoni di Etarlis?
Etarlis ha preso vita da una serie di storie che io ed Evelyn
abbiamo creato e che ci raccontavamo a vicenda per ingannare il tempo
durante i lunghi spostamenti in macchina, per raggiungere i posti
dei concerti o per assistere alle lezioni di composizione. Inizialmente
era una cosa episodica e a vicenda costruivamo una parte della storia
con un finale sospeso, lasciando all’altro il compito di finire
la storia. Ad un certo punto abbiamo iniziato a scrivere queste storie
e a svilupparle cercando di inserirle in un vero e proprio racconto
molto più strutturato e lungo. Da subito queste storie sono
diventate per noi fonti di canzoni, come ad esempio “Soundchaser”
e “Whisper” tratte dall’album The Mermaid Kiss o
“Hollow” da Salt On Skin, queste canzoni sono nello stesso
spirito che pervade il nuovo album Etarlis. Pertanto era inevitabile
che prima o poi Etarlis diventasse la base per un intero album, solo
non mi immaginavo che sarebbe successo così presto!
L’album non ha la pretesa di raccontare tutta la storia, infatti
le canzoni fotografano dei momenti o delle particolari scene o solo
alcuni personaggi. In realtà questo disco copre solo il terzo
iniziale di tutto il racconto Etarlis, quindi ci saranno ulteriori
sviluppi della storia in futuro.
Inoltre Evelyn inseme a Richard Pocock, un altro membro del gruppo,
sta sviluppando il sito http://www.etarlis.com/
che contiene molti dettagli sulla storia e sull’album.
Il titolo cosa significa?
Etarlis è il nome del posto dove l’album e la
storia sono collocati. Secondo la storia, la traduzione letterale
di Etarlis è “The Starless Place”, il posto senza
stelle. Il problema è che Etarlis ha delle stelle, ne ha molte,
questo ha portato qualcuno a pensare di reinterpretare il nome come
“The Dark Place” o “The Place Of Darkness”,
che sottende anche ad altri significati.
A cosa vi siete ispirati esattamente per i testi e per la
musica?
In pratica da un po’ tutti i posti. Ovviamente i brani
relativi alla storia (Etarlan Songs), sono molto legati al racconto
stesso, ma ci sono ugualmente molte influenze diverse anche in questi.
Ci siamo ispirati molto anche alla pittura e alla letteratura, per
esempio il brano “Mermaid Kiss” (da cui abbiamo preso
il nostro nome) è stato composto dopo aver visto il quadro
“Il Pescatore e la Sirena” (The Fisherman And The Syren)
di Frederick Lord Leighton in una galleria di Bristol.
“Breathing Under Water” paga un debito nei confronti di
vari dipinti Pre Raffaeliti che hanno raffigurato Ofelia, il personaggio
dell’Amleto di Shakespeare, inoltre c’è un brano
che suoniamo dal vivo, ma che non abbiamo ancora inciso, “La
Belle Dames Sans Merci” che è stata pure influenzata
dai dipinti Pre Raffaeliti con lo stesso titolo e da un poema di Keats.
Una delle nostre prime canzoni, “Heart Sings” è
stata ispirata da una mostra su Van Gogh che ho visto, in particolare
da un quadro dal titolo “Siesta” – ti potrei giurare
che l’ispirazione è uscita fuori proprio da quel quadro!
Poi c’è il brano “Breathing”, che si ispira
al racconto “The Poisonwood Bible” di Barbara Kingsolver.
Sicuramente ce ne sono ancora altri.
Altre canzoni sono state scritte a seguito di fatti accaduti di recente.
“Blind” è una risposta al continuo lanciarsi a
capofitto nella guerra in Iraq, mentre “Just Like You”
è stata composta dopo aver letto un libro su una setta in America
che affermava di aver clonato il primo bambino. La storia è
immaginaria, ma abbiamo cercato di rappresentare la prospettiva di
cosa sarebbe accaduto al primo essere umano “non unico”.
Altre volte le nostre canzoni nascono da un insieme di cose, da un
film che abbiamo visto, altre nascono da dei commenti, “Crayola
Skies”, per esempio, inizia con queste due parole che ho letto
in una e-mail di un fan, tutto il brano è centrato su una devastazione
che è venuta in seguito ad una battaglia.
Non è possibile dire con esattezza cosa può dare il
via ad un’idea.
Come procedere a comporre le musiche?
Per il primo album è stato abbastanza semplice. Sia
che io o Evelyn avessimo un’idea, si cominciava insieme a lavorarci
sopra, a svilupparla, a scriverci un testo… Poi registravamo
quello che chiamavamo un “songwriting demo”, per poi andare
nello studio di Andy per registrare, il Goat Shed, poi Andy dava il
suo contributo per sviluppare ulteriormente i brani, siamo andati
avanti così fino a che eravamo soddisfatti del risultato, solo
a quel punto registravamo definitivamente i brani.
Quando Evelyn è andata all’Università non abbiamo
più potuto continuare a comporre in questo modo, credo che
questo sia stato la causa principale del nostro rallentamento, così
io e Andy abbiamo dovuto sviluppare un nuovo modo di scrivere insieme,
le modalità poi erano due. Io componevo una canzone alla chitarra
e poi la registravo artigianalmente a casa, mi recavo ai Goat Shed
e si procedeva con Andy. Oppure Andy componeva un pezzo a cui io aggiungevo
le parti vocali e il testo. Ho semplificato molto, ma questo a grandi
linee è come si svolge il nostro processo creativo.
Quanta tradizione e quanta modernità ci sono nel vostro
sound?
Di certo ci sono molte influenze sia di tipo tradizionale
sia da cose più recenti. Anche dalla musica classica e probabilmente
anche dal jazz. È inevitabile che uno assorba qualcosa della
musica che ascolta abitualmente. Il difficile è riuscire a
mettere a fuoco come queste influenze entrano nella nostra musica.
Non credo che noi abbiamo mai fatto un discorso del tipo “okay,
adesso facciamo un brano in stile tradizionale” è il
brano che detta inconsciamente il tipo di stile e l’umore con
cui poi viene fuori.
Come reagisce la gente alla vostra musica?
Onestamente parlando va molto oltre ogni nostra più
rosea aspettativa, anche se ogni tanto la gente sembra un po’
confusa riguardo alla nostra musica, perché qualcuno non riesce
a collocarci in un genere specifico, purtroppo l’industria discografica
sembra ossessionata dal bisogno di mettere la musica in queste piccole
scatole etichettate. Noi cerchiamo di spaziare in molti generi diversi.
Ad esempio abbiamo ricevuto delle recensioni molto positive sia da
riviste di musica folk che da siti internet polacchi di heavy metal,
questo nonostante la nostra musica non appartenga a nessuno di questi
generi musicali. Noi cerchiamo di far si che sia il brano stesso a
guidarci nello stile di ciascun pezzo, piuttosto di pensare cose del
tipo “noi siamo una prog band, quindi dobbiamo mettere in ogni
brano una lunga sezione strumentale con una mezza dozzina di cambi
di tempo”. Se una canzone assume una struttura “semplice”,
noi la lasciamo così, come ad esempio “Siren Song”
da Etarlis. Su altri pezzi come “Nowhere to Hide” c’è
una storia intera da sviluppare, così Andy ha la possibilità
di dar vita a dei magnifici arrangiamenti sinfonici. Comunque sia
credo che sia l’industria della musica che sente il bisogno
di catalogare tutto, mentre alla gente interessa solo ascoltare musica
che gli piace per se stessa. Credo che in fondo alla gente piaccia
il nostro stile, perché non cerca di assomigliare a niente
e non cerca di appartenere ad un genere o ad una particolare moda
del momento.
Avete creato un album intriso di bellezza, avete cercato un
risultato estetico o spirituale?
Dunque, c’è un brano di Evelyn dal titolo “Spirit”
sull’album Mermaid Kiss, ma tratta delle gioia che si prova
a comporre e a suonare la musica.
Non credo che noi abbiamo specificamente ricercato questi risultati
con Etarlis, anche se un risultato estetico è sempre molto
importante. Molte delle nostre canzoni considerate più belle,
spesso hanno una parte oscura, non sono mai quello che sembrano di
primo acchito. “Shadow Girl” è un esempio di questo.
La bellezza a volte può nascondere qualcosa di oscuro. È
l’ultimo verso del brano che ne svela questo lato. Credo che
la spiritualità sia da ricercare più in quello che uno
riceve più che in quello che uno dà, quindi se c’è
qualcuno che trova che la nostra musica abbia dei contenuti spirituali,
questo sarebbe immensamente gratificante per noi.
Secondo te la vostra musica è una via per fuggire dalla
realtà, una finestra aperta su un giardino segreto o un mezzo
per vivere meglio la bellezza che ci circonda?
Per me è sicuramente una via di fuga. Quando scrivo
cerco di creare un posto diverso dove l’ascoltatore può
rifugiarsi, sia a livello emotivo, sia creando un mondo tutto nuovo,
oppure come ultima ipotesi come se fosse una distorsione di quello
reale. Qualcuno ha detto che la nostra musica dipinge dei quadri nelle
loro menti, questa è una definizione che mi piace molto. Mi
è piaciuto il tuo riferimento al “giardino segreto”.
Mi piace pensare che la musica sia capace di rendere il mondo un posto
migliore dove vivere. Ma finché la gente non inizierà
a votare perché i musicisti entrino nel governo (ma quale musicista
attualmente vorrebbe fare il politico), allora dobbiamo cercare altrove
le cure per guarire i mali della società, in quanto ovviamente
molti cantautori hanno sempre, e sempre lo faranno, scritto canzoni
di denuncia delle ingiustizie. Anche se la musica non può cambiare
il mondo, non vuol dire che si dimentichi delle iniquità che
ci circondano.
Molte persone che amano il prog dei seventies affermano che
il prog di oggi andrebbe chiamato “regressive”, perché
non c’è molto di veramente nuovo… tu cosa pensi
dell’attuale scena prog?
Per me l’unica cosa veramente “regressive”
della scena prog contemporanea sono tutte le tribute band che ci sono
in giro. Ci sono dei locali che ospitano solo questi gruppi tutte
le settimane (ndr allora non è un male solo italiano!!!). Senza
dubbio i promotori si giustificano col fatto che questi gruppi riempiono
i locali, ma tutto questo si traduce i minori opportunità per
i nuovi gruppi di trovare un pubblico e di crescere artisticamente,
fino a riuscire a loro volta a riempire di gente i locali. Tutti i
gruppi che sono considerati i grandi classici del prog, Yes, Pink
Floyd, Genesis, probabilmente non hanno raggiunto il loro apice di
consensi fino al quarto o al quinto album. Queste cose richiedono
tempo, anche per gli artisti migliori. Sono convinto che in giro attualmente
c’è molta nuova musica definibile come prog veramente
ottima. Un’altra considerazione da fare è che a volte
la gente che ama il prog degli anni ’70, non ama gli artisti
di oggi solo perché non hanno un sound che ricorda i classici
gruppi di quel periodo.
In effetti recentemente ci sono molti nuovi gruppi prog interessanti
che provengono dalla Gran Bretagna, dopo lunghi anni di silenzio (Magenta,
Andy Tillison coi Tangent, Philgrim…), c’è qualcosa
di nuovo nell’aria?
I Magenta probabilmente sono un buon esempio di gruppo che
ha avuto la possibilità di evolversi. Quando li ho visti la
prima volta circa quattro anni fa, ad essere onesti, erano molto derivativi,
non intendo dire che assomigliavano ad un gruppo specifico, ma alcune
loro canzoni ricordavano alcuni gruppi e parlando all’epoca
con Rob Reed (ndr. il leader dei Magenta e il principale compositore)
lui era abbastanza cosciente di questo. Ma oggi sono molto cambiati
e sono diventati una delle migliori band in circolazione, dal vivo
poi credo che siano difficili da raggiungere.
Attualmente in giro c’è una buona serie di gruppi che
stanno suonando della musica interessante e che può essere
considerata prog o comunque vicina al prog, anche se molti di questi
non sono riconosciuti come prog dalla comunità prog. È
ancora la maledizione delle etichette! Ci sono artisti che sperimentano
ogni tipo di crossover, alcuni sono molto intelligenti e raffinati
e possono facilmente attrarre il pubblico prog. Secondo me, molti
di questi, per esempio quelli che usano sonorità celtiche,
spesso hanno un sound molto più progressive di molti gruppi
catalogati nel genere prog metal. Il guaio è che l’uso
del termine “celtico” spesso induce le persone ad avere
un pregiudizio sbagliato su quello che dovrebbero ascoltare e molti
amanti del prog non si avvicinano a queste proposte, che invece sono
convinto potrebbero gradire. Come dicevo le catalogazioni sono una
maledizione.
Ci siamo conosciuti attraverso MySpace, che mi sembra una
piccola rivoluzione per gli artisti, cosa pensi di questo fenomeno?
MySpace e Internet in generale sono una spada a doppio taglio.
Da un punto di vista positivo è un mezzo di comunicazione superbo,
che consente ai gruppi di diffondere la propria musica ad un audience
molto più vasta, ma al tempo stesso consente anche a molti,
ma molti più gruppi di cercare di emergere. Questa è
una prima opportunità disponibile a tutti! Un’altra cosa
positiva è che internet spinge il passaparola ad altissima
velocità, che è sempre il metodo più efficace
per portare la musica ad un numero sempre maggiore di nuovi fans.
Dal lato opposto però, il tempo da dedicare nella promozione
in internet è massacrante. Infatti molti gruppi hanno qualcuno
che cura le loro relazioni in internet, spesso qualcuno che è
fuori dal gruppo stesso e che gestisce il sito MySpace, è una
cosa che capisco perfettamente, anche se noi continuiamo a rispondere
a tutti i messaggi in prima persona e continueremo a farlo fin che
ci riusciremo. Ma quando ricevi qualcosa come 30 o 40 messaggi al
giorno, beh, puoi capire quanto tempo devi dedicare per rispondere
a ciascun messaggio. Va bene fintanto che questo non inizia a intaccare
il tempo che devi dedicare alla tua musica, che deve avere sempre
la priorità.
Mi sono piaciuti molto i vostri artworks, mi puoi raccontare
qualcosa di più?
L’artwork per il primo album era stato preso da Evelyn
dal video che avevamo fatto per il brano “Mermaid Kiss”.
Non avevamo pensato all’artwork del disco fino a pochi giorni
prima che fosse pronto per essere stampato, ci eravamo concentrati
solo sulla musica. Così, presi dal panico, io ed Evelyn abbiamo
sparso le nostre raccolte di dischi sul pavimento per cercare quale
artwork ci avesso colpito di più. È stato tutto molto
poco scientifico, solo una questione di gusto, abbiamo privilegiato
quelle con sfondi con molto bianco e con un’immagine forte.
Così ecco com’è nata la prima copertina.
È stato dopo che avevamo realizzato l’album Mermaid Kiss,
che abbiamo incontrato il fotografo Chris Walkden (casualmente allo
stesso concerto in cui vedemmo per la prima volta i Magenta), che
da allora ha realizzato tutti i nostri servizi fotografici. La foto
utilizzata per la copertina di “Salt on Skin” ritrae Kate
Emerson. Mentre l’immagine usata per “Etarlis” ritrae
una nostra amica, Megan Forbes, che io e Chris abbiamo incontrato
durante un viaggio a Snowdonia nelle montagne del nord del Galles
alla ricerca di luoghi interessanti da fotografare per realizzare
l’artwork per Etarlis. Meg ha anche cantato sul demo di “The
Lighthouse” e se non si fosse ammalata, sarebbe stata presente
anche sull’album finito. Spero che potrà apparire su
uno dei nostri prossimi lavori.
Chris è un fotografo pazzesco e adesso è anche un carissimo
amico. Principalmente fa servizi durante i concerti e ha già
fotografato tutti i migliori gruppi inglesi di prog degli ultimi anni.
Ultimamente si è focalizzato anche su lavori in studio o in
locations, è molto bello lavorare con lui, prima di tutto a
lui piace conoscere direttamente le persone con cui deve lavorare,
così riesce a capire meglio quali sono le caratteristiche più
importanti, questo rendo molto più piacevole anche la realizzazione
dei servizi fotografici.
State pianificando dei concerti? Cosa prerarerete per il pubblico?
Abbiamo appena finito di provare il nuovo live set lo scorso
fine settimana, anche se molto probabilmente non suoneremo prima della
prossima primavera. Per rendere giustizia alla musica di Etarlis avremo
bisogno di un secondo tastierista e siamo molto felici di avere con
noi Jonathan Edwards, ovviamente quando le nostre date non coincideranno
con quelle della sua band. Inoltre durante i concerti il basso verrà
suonato da Laura Knight, che si occuperà anche di alcuni cori.
Infine stiamo ancora cercando un batterista, che attualmente è
la nostra priorità.
Progetti futuri?
Abbiamo in programma un secondo album sulla storia di “Etarlis”,
ma probabilmente non sarà il prossimo che faremo, attualmente
stiamo lavorando su un progetto che si chiama “American Images”,
ci sono già un paio di brani registrati di questo progetto,
uno si intitola “This Trail of Tears” con Evelyn alla
voce, l’altro è “Ocean Lullaby” che è
cantato da Kate Belcher. I brani restanti sono già stati composti,
alcuni sono già stati registrati in versione demo, ma c’è
ancora molto lavoro da fare.
Trovare il tempo per registrare e per provare è sempre molto
difficile, anche perché tutti noi abbiamo un lavoro fuori dalla
band, che ci porta in giro per il paese, quindi organizzare le prove
a volte è un piccolo incubo logistico, ma alla fine le cose
vanno sempre a posto e la tecnologia odierna ci aiuta parecchio!
Vuoi esprimere liberamente un saluto per concludere questa
intervista?
Ci sono molte persone senza le quali non potevamo sperare
di fare tutto questo, innanzitutto le nostre famiglie che hanno fatto
dei sacrifici incredibili per darci la possibilità di creare
la nostra musica. Ovviamente ci sono i fans, che sono straordinari,
sono sempre meravigliato nel vedere quante persone generose donano
il loro tempo in questo mondo così indaffarato, per aiutare
i gruppi di cui amano la musica, questa è stata la nostra esperienza
e molte persone che ci hanno contattato come fan poi sono diventati
ottimi amici. Recentemente per esempio, un ragazzo di nome Pete Galer
si è offerto di realizzare e dirigere un forum per noi che
ha chiamato “mermaidkisses” (http://uk.groups.yahoo.com/group/mermaidkisses/)
Finalmente ci siamo incontrati per la prima volta al Summer’s
End festival che si è tenuto nel nostro paese.
Poi ci sono persone come te o come Russ Elliot ai Musical Discoveries,
o come Dave Randall a Get Ready To Rock!, che hanno dedicato dello
spazio nei loro siti internet per aiutarci.
Infine ci sono i fans, la gente che compra la musica e che viene ai
concerti, sono loro che rendono il tutto possibile e che fanno si
che ne valga la pena. La musica non è niente senza un pubblico.
Recensioni: The Mermaid Kiss Album + Salt
On Skin; Etarlis
Sito Web
Per un assaggio: http://www.myspace.com/mermaidkissuk
Per continuare il viaggio: http://www.etarlis.co.uk/
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