La
Svizzera è una nazione abbastanza piccola, ma in ambito Progressive
Rock ha davvero dato molto. Ricordiamo i Clepsydra, i storici sperimentatori
Brainticket, i Cardeilhac, i New Progster Deyss, gli Equus, i Zenit,
Shakary e molti altri ancora.
I Metamorphosis di Jan Pierre-Schenk (batteria e tastiere), Oliver
Guenat (chitarra) e di Roger Burri (chitarra), si esibiscono dal 2002
ed il primo album si intitola “After All These Years”.
Con “Dark” giungono al quarto lavoro da studio. Per mettere
a fuoco il suono proposto vi segnalo band come gli RPWL, di conseguenza
piccole influenze Pinkfloydiane, e quindi anche della psichedelia
.Gli assolo di chitarra ricoprono un ruolo molto importante , sono
quelli che regalano più emozioni, pur mantenendo le tastiere
un elemento di fondo davvero importante.
Sin dall’iniziale “Song For My Son” ci avvolgono
atmosfere malinconiche che a sprazzi lasciano spazio a strumentali
di ampio respiro. Il gioco di sostenere le note rende molto spiccata
l’atmosfera. I brani sono otto e tutti dalla durata abbastanza
elevata, circa sugli otto minuti. Clamoroso il richiamo agli ultimi
Pink Floyd , quelli di “The Division Bells” in “The
Fight Is Over” oppure in “You”, specie nell’impostazione
vocale, improntata con la cadenza alla David Gilmour. Rispetto all’album
precedente dal titolo “Then All Was Silent” i cambiamenti
non sono molti e neppure radicali. Le parti strumentali sono sempre
il piatto forte, così i giochi psichedelici e a volte l’
eco delle voci. Aleggiano anche i Porcopine Tree del genio Wilson,
“Hey Man” ne è esempio a dir poco clamoroso. Perfino
le chitarre si rendono più aggressive. Il discorso è
analogo con “I’m Waking Up”, dove voce ed arpeggi
di chitarra ci accolgono all’inizio per poi lasciarsi andare
in un frangente strumentale di grande emotività. Ancora una
volta gli RPWL fanno capolino. Più greve e controversa è
“Knowing All I Do Worth Ending”, sempre orecchiabile,
perché i Metamorphosis sono molto attenti al lato melodico
del brano, pur viaggiando spesso in ambito psichedelico. Personalmente
nutro molto piacere nell’ascolto dei solo delle chitarre elettriche.
Il brano che mi ha colpito di più è “Where Do
We Go”, forse per la varietà e per la grinta in più.
Importanti le tastiere, in definitiva questo è un momento in
cui la band dimostra di essere più squadra. Ritorno a sottolineare
certi Porcupine Tree, quelli del periodo “Signify”. Chiudono
i tre minuti acustici della title track “Dark”, un bel
momento di intimità sonora.
Non che la personalità sia del tutto latente, ma in definitiva
i nostri amici non si inventano molto, ma questo è relativo,
quando una musica è bella ….è bella!
Se si vogliono cercare i peli nell’uovo allora potremmo stare
qui a discutere di Progressive stagnante e quant’altro, come
un fans del genere ama solitamente disquisire. Personalmente metto
“Dark” fra i dischi da ascoltare ogni tanto, come un buon
bicchiere di brandy. Ripeto, senza infamia e senza lode, solo buona
musica. MS |