Esiste musica che sembra bloccare il tempo come con una bacchetta
magica, ricordi affiorano con piacere all’ascolto dell’AOR
(acronimo di album oriented Rock) , il ramo più radiofonico
e ruffiano dell’Hard Rock, aggiungerei anche il più pomposo.
Il genere è stato portato al successo mondiale da artisti come
Survivor, Journey, Boston, ma soprattutto Toto. Ecco, quest’ultima
band sono il punto di riferimento dei nostrani Mindfeels provenienti
da Biella e composti da Davide Gilardino (voce), Luca Carlomagno (chitarra,
violino), Roberto Barazzotto (basso) e Italo Graziana (batteria, cori).
“XXenty” è il loro debutto ed è formato
da undici canzoni ben registrate e supportate da un artwork elegante
ed esaustivo. Come ospite nel disco c’è anche Christian
Rossetti alle tastiere.
L’amore per il genere esce subito allo scoperto sin dall’iniziale
“Don’t Leave Me Behind”, curata negli arrangiamenti
e dall’ampio respiro. Chitarre e tastiere giocano su tappeti
mai invasivi, gradevoli, suoni quasi sgocciolati, senza aggredire,
per il resto ci pensa la buona voce di Gilardino. La ritmica è
pulita, senza sbavature e neppure azzarda cose che non competono alla
struttura del brano, aggiungerei anche in maniera intelligente. Mi
sento di spendere una parola in più per il basso di Barazzotto
che gioca un ruolo importante nell’economia sound dei Mindfeels.
I Toto si estrapolano facilmente anche nella successiva “Soul
Has Gone Away”, tuttavia è il genere che lo richiede,
per cui tutto nei binari del percorso sonoro, e va bene così.
Serve poco tempo per assimilare e cantare assieme a loro i ritornelli
gradevoli.
“Hidden Treasures” mette in evidenza proprio il basso
di cui ho espresso il parere, mentre “Joker” alza il ritmo
e gli anni ’80 come per magia mi appaiono davanti.
“Skyline” non so se è il singolo potenziale dell’album,
tuttavia in questo brano ne assaporo le caratteristiche e lo ritengo
fra i più papabili per l’obbiettivo. Più greve
il suono in “Speed”, riflessiva ed elaborata, qui i Mindfeels
mi piacciono ancora di più perché ricercano soluzioni
differenti, su una struttura dal basso martellante le melodie si susseguono
in un cantato sentito quasi recitato in alcuni frangenti. Non ci crederete
mai, ma in esso ci ho sentito qualcosa dell’ultimo album di
Steven Wilson “To The Bone”, ma ovviamente trattasi di
brevi scorci. In “These Words” il piano apre il movimento
lasciando spazio ad un riff di chitarra elettrica noto, direi alla
Lukather, qui la band rientra nei canoni dello stile trattato, specie
nel ritornello.
“Fear” è muscolosa, Rock, ma pur sempre spolverata
di classe, molti i deja vu all’ascolto della stessa, tuttavia
è così piacevole che tutto sembra passare in secondo
piano.
“It’s Not Like Dying” ugualmente non fa la voce
grossa, ma accompagna l’ascolto verso un Rock melodico gradevole
e di compagnia. Ancora il basso ricopre un ruolo importante e lo si
ascolta in “Touch The Stone”. Il disco si conclude con
la canzona più lunga dell’album con i suoi sette minuti,
“The Number One”, un bel sunto sullo stile Mindfeels.
“XXenty” è un album che si lascia ascoltare con
estremo piacere, scorre via velocemente e rimangono memorizzate alcune
buone melodie. La musica deve fare questo e lo stile a cui si rivolgono
è quantomeno adatto. MS
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