I bolognesi Moorder sono il progetto del chitarrista Alessandro Lamborghini.
Con lui, in questa seconda fatica suonano Simone Pederzoli (trombone),
Alberto Danielli (tuba), Daniel Csaba Dencs (batteria) e Luca Cotti
(basso). Tornano dopo l’esordio del 2008 dal titolo “Moorder”,
sempre per Lizard Records.
Qui chiariamo subito senza troppi giri di parole che la proposta è
variegata e per palati fini, musica mai scontata, ricercata, ben eseguita
ed arrangiata come poche volte si riesce a sentire in questo tipo
di musica. Si ascolta di tutto, dal Jazz al Post Rock, fino a giungere
al Prog schizzato di Fripp ed i suoi King Crimson, questo in generale
è il territorio in cui si muovono.
Il disco è composto da dodici tracce suddivise in 37 minuti,
questo lascia già intendere la brevità dei brani proposti.
E si, perché i bolognesi non si perdono in inutili orpelli,
badano al sodo…Alla sostanza.
Il libretto di accompagnamento al cd è ricco di tavole a fumetti
che raccontano una storia, quella di una ragazza che fra difficoltà
di genere sociale, si innamora con il classico colpo di fulmine di
un giovane ragazzo al quale porta il disco in vinile “Moorder
II”. Lui a sua volta gli dona un chupa choops rappresentante
la pace, la libertà e appunto l’amore. Le tavole sono
ad opera di Simone Cortesi.
“Jesus Zombies Crew” fa intendere immediatamente di che
pasta sono fatti i Moorder, pezzo vigoroso ed elettrico, con il trombone
che si diverte a giocare fra i riff ruffiani. Come restare impassibili
avanti ad un brano come “Flact Kick”, ma soprattutto,
come non accostarlo a Jaco Pastorius? E poi avanti con il Funky di
“Disco In Ferro”, i ragazzi hanno anche buon senso dell’umorismo.
“Pipum” si diverte inizialmente a far ballare, basata
su percussioni e ritmiche con il basso, un pezzo che si articola nel
suo incedere, ma che lascia anche spiazzati miscelando allegria e
tristezza allo stesso tempo. “Moztri” all’inizio
è soft ed avvolgente, successivamente la chitarra parte in
un micidiale assolo. Sempre e comunque nello stradello crimsoniano.
“Afro Bones” in alcuni istanti è musica per Big
Band, ma quando riparte la chitarra elettrica, ci si aggira in territori
cari a geni come Frank Zappa, e scusate se è poco.
Non mi piace comunque svelarvi tutto il percorso, in quanto di sorprese
ce ne sono all’interno e non mi sembra giusto privarvene la
scoperta, in fondo avete già capito di che disco si tratta.
Gli artisti giocano con il pentagramma, rilasciando in conclusione
un lavoro divertente e per molti momenti davvero gioioso. Mettono
in mostra non solo tecnica esecutiva, ma anche cultura personale riguardo
la musica ascoltata.
Davvero godibili, dategli una opportunità. MS
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