Di
certo il nome dello svizzero Patrick Moraz non è nuovo ai cultori
del prog, enfant prodige parte dalla classica, poi approda al jazz
e infine si dedica al prog. Troviamo il suo nome su un disco omonimo
dei Mainhorse del ’73, in seguito ha l’onore di sostituisce
Keith Emerson nei Nice che prenderanno il nome Refugee dopo di che
sostituisce Wakeman negli Yes e con loro incide gli album Relayer
del ’74 e Going For the One del ’76, conclusa l’esperienza
Yes col rientro di Rick, il nostro intraprende la carriera solista
per un paio di dischi per poi entrare in un’altra formazione
leggendaria, i Mody Blues. Ma veniamo al presente disco.
La gestazione di questo lavoro è stata piuttosto lunga, sono
passati ben sei anni dal predecessore ESP, il primo brano dal titolo
“Peace in Africa” è orientato alla world music,
l’attacco con ritmi tribali è repentino, quasi inaspettato
e sorprende un po’, poi la seguente “Change of Space”
propone degli echi ottantiani e radiofonici, quasi New Wave, con il
batterista John Wakerman che usa dei suoni elettronici, ma è
un brano che con ripetuti ascolti svela partiture più complesse
di quanto sembri ad un primo ascolto, anche se ai puristi del prog
risulterà sempre e comunque indigesto. La strumentale “Sonique
Prinz Suite” è il primo vero pezzo forte del cd, qui
il lato prog esce in tutta la sua magniloquenza e Moraz incanta con
i suoi solos, c’è ben poco da aggiungere. “One
Day in June” è pura fusion con passaggi tecnici di grande
bellezza, un genere che spesso è molto vicino al prog, infatti
anche questo pezzo risulterà caro ai fans degli Yes. Non siamo
neanche a metà e l’album si sta dimostrando particolarmente
vario, al punto che può anche confondere le idee, ma questo
è anche un punto di forza. All’inizio “Cum Spiritu”
sembra proporre un momento meditativo dal sapore New Age (altro cambio
netto…), ma anche in questo caso nulla è come appare
e ancora troviamo solos di alta suggestione, che escono come magie
dal cappello di un prestigiatore. “The Power of Emotion”
è una ballad dall’inciso un po’ prevedibile. Ma
ecco la seconda suite “Stellar Rivers & Streams of Lucid
Dreams” divisa in quattro movimenti, ancora pane per gli appassionati
di prog, ma anche stavolta ci sono molteplici risvolti che fanno di
questo brano qualcosa di inatteso e spesso imprevedibile. La conclusiva
“Alien Spaces” ci proietta in uno space rock atmosferico
e minimalista e chiude il sipario quasi in sordina su un cd che è
talmente vario da lasciare quasi perplessi.
Moraz è indubbiamente un grande tastierista e in questo cd
mette nuovamente in mostra le sue innegabili doti, Change of Space
è un album complesso, che non può esaurisi in qualche
ascolto frettoloso, ma che richiede una buona dedizione, qualcuno
potrebbe risentirsi di questo, ma alla lunga è un disco che
regala più di un’emozione. GB
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