Può un arpa a pedali avere una tendenza Rock? Se vi siete già
incuriositi avete fatto bene, perché in questa recensione andiamo
a parlare del secondo lavoro dell’artista italo/svizzero Raoul
Moretti.
Diplomato al Conservatorio di Musica “G.Verdi” di Como
nel 1999, Moretti collabora con numerose orchestre fra le quali l’Orchestra
a Fiati della Svizzera Italiana, l’Orchestra dell’Insubria,
Orchestra Sinfonica di Lecco e l’Orchestra Stabile di Como.
E’ ideatore anche di progetti musicali come Vibrarpa con M.
Bianchi, (arpa e vibrafono), il progetto Blue Silk con M. Giudici
(elettroharp e chitarra elettrica) ed Essential Duo con Tullia Barbera
(voce pop e arpa elettroacustic). La voglia di sperimentare giunge
sino al suo strumento, quindi come solista intraprende un percorso
di ricerca sull’arpa elettrica e l’utilizzo dell’elettronica.
Intraprende così un percorso avanguardistico toccando numerosi
stili musicali quali l’avant-garde, il pop-rock, la world music,
l’elettronica, la nu-dance, la classica e l’improvvisazione.
Le date mondiali per i festival internazionali di arpa sono numerose,
Francia, Belgio, Croazia, Cina, Paraguay, Cile, Messico, Venezuela,
Brasile e Australia. E ancora molto altro. Tuttavia noi in questa
sede andiamo a focalizzare questo progetto datato 2016 dal titolo
“Harpness”, si presenta in una edizione cartonata ed è
composto da diciassette brani con la collaborazione di personaggi
come Michele Bertoni, Erica Scherl & Valerio Corzani, Diego Soddu,
Walter Demuru, Gianluca Porcu e Marco Tuppo.
“Sharpness” apre il disco e la musica si fa immediatamente
immagine. Gocce sonore piovono in maniera delicata su un tappeto psichedelico
per sfociare nella World Music. La sensazione di benessere e spaziosità
è intrinseca dell’ascolto. Violino basso ed arpa nella
breve “Das Unheimlich” per un suono che trasporta, inevitabilmente
il tutto avviene ad occhi chiusi. Musica che scava dentro, come nella
successiva “Mi Alma Viajera”, un racconto fatto di scale
semplici, quasi minimaliste, ricercando l’anima di chi ascolta.
Gli stili mutano brano dopo brano, “Near Death Experience”
inizia quasi come un organo da chiesa tanto da rendere tetra e lugubre
l’atmosfera. Loop sonori che aleggiano sopra territori psichedelici
si lasciano trasportare anche da eco d’effetto.
E l’ascolto diventa ancora più sperimentale e toccante
in “A Kaleidoscoping Mind”, nomen omen. Il rapporto di
Raoul con il proprio strumento è fisico, forte ma allo stesso
tempo delicato, l’arpa viene toccata in maniera inusuale, fra
rispetto e desiderio di pizzicarla forte. Ma quello che interessa
a Moretti è il suono che ne scaturisce e questo non è
decisamente usuale. Se andiamo a cercare monoliti del Rock potremmo
avvicinarlo per tendenza a “Ummagumma” dei Pink Floyd,
ascoltate “The Black Swan” per credere.
Torna la calma con “Universi Paralleli” ed il suono è
davvero cosmico, lento e senza gravità, come dicevo in precedenza,
la musica diventa immagine. Suoni grevi e sostenuti, l’arpa
non sembra quasi essere più uno strumento inteso per come è
stato creato, ma un mezzo con cui creare situazioni astruse e affascinanti.
Ancora suoni eterei in “Obliviousness”, rilassanti e scevri
di ogni etichetta. “Reflections” ha una vibrazione silente,
ossia che ti entra dentro la testa apparentemente a basso volume,
ma che in realtà ti fa vibrare fortemente il cervello. “Breakaway”
è un movimento più ritmato e semplice, tanto che potrebbe
scaturire anche da un album dei teutonici Kraftwerk. Tutto muta in
“Harpness”, nulla è mai lo stesso, l’arpa
sembra gridare dolore in “Sharp-Eyed Man”, un giro armonico
pregno di sofferenza ed oscurità grazie anche al suono straziante
del violino. L’arpa ritorna a fare l’arpa in “Sweetly
Violent”, ma è un breve istante per poi passare al suono
minimale di “Violently Sweet”, brano in crescendo tanto
da diventare infine Post Rock. In alcuni passaggi ho sensazioni che
riportano la mia memoria al Fripp dei King Crimson, quello che spesso
in sede live riesce a cucire momenti sperimentali al suono dei strumenti.
Ricerca è la parola d’ordine. E così via fino
a giungere a “Rebirth”, che per chi vi scrive è
un piccolo capolavoro e non a caso è anche il brano più
lungo dell’album con i suoi quasi otto minuti, ed il tempo sembra
fermarsi.
In conclusione “Harpness” è un disco rilassante,
scostante, nervoso, calmo, sereno e nuvoloso, il tutto con un filo
conduttore, la mente di chi ascolta, perché ognuno di questi
suoni fanno vibrare in noi posti differenti del nostro cervello e
si sa che ogni mente non è mai uguale ad un'altra. Per cui
se siete curiosi lasciatevi travolgere da questa musica. Osate!
Per chi lo conoscesse il disco è consigliato anche ai sostenitori
dello statunitense Rafael Anton Irisarri. MS
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