Devo dire che entrare in questo disco per me ha rappresentato una
sfida, non avendo familiarità col genere suonato da questo
trio. La sfida è stata quella di sentire musica dove altri,
forse molti, sentirebbero solo rumore. Per la verità ho ascoltato
altri progetti di avanguardia spinta, ma erano cose molto diverse
da questa, penso al folle chitarrista giapponese Jinmo, o al progetto
avanguardistico di Ogogo, alla violenza degli Xhohx. Inoltre nella
mia discografia albergano dischi considerati come precursori del genere
noise, ma devo ammettere che non ho approfondito più di tanto
gli sviluppi successivi. Però mi affascina a livello concettuale,
fare musica col rumore, è qualcosa di molto moderno, non a
caso il fondatore è il futurista Luigi Russolo, ma non voglio
spingermi troppo lontano.
Il gruppo è composto da due bassisti e un batterista, vi risparmio
i nomignoli, perché sono di fantasia. Per certi versi mi hanno
ricordato i Beehover, ma questi sono più legati al concetto
di canzone, i Morkobot no, i loro brani, dai nomi assurdi, sono delle
sfuriate in cui i due bassi distorti si lanciano in fughe adrenaliniche
e la batteria sottolinea parti ritmiche telluriche. Il risultato è
molto potente, i due bassi sono per lo più distorti e tutto
è molto stordente, però non è caos, o meglio
ha tutta l’aria di un caos controllato. I brani sono sette e
tutti strumentali, in certi momenti mi è venuto in mente anche
il Les Claypool più sperimentale. Non è musica rilassante,
la tensione elettrica è sempre molto alta e l’attacco
sonoro un mezzo espressivo volutamente destabilizzante, però
alla fine il disco mi è piaciuto parecchio.
Che vi possa piacere o meno, per me questo disco è come l’urlo
di Munch in musica. Colori forti, un panorama tetro ed oscuro, un
orizzonte indefinito tra spirali avvolgenti che sembrano volerti inghiottire.
Sembra che poco sia cambiato da allora e questa musica potrebbe essere
una colonna sonora anche troppo accurata del disagio che molti provano
in questi anni. GB
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