La Svezia continua a sfornare artisti in ogni campo musicale, una
vera invasione che sembra non avere crisi, un fenomeno che deve avere
delle motivazioni profonde, vista la sua portata senza precedenti.
I Morph sono solo una delle tante realtà che arrivano da questa
scena, ma la cosa più sorprendente è la qualità
media di questi progetti artistici che si è sempre dimostrata
ben al di sopra della media e non fa eccezione il progetto di questo
duo al suo debutto. I morph sono Attila Bokor, voce, chitarra e basso
e Richard Sandstrom alla batteria.
Un bel giro di batteria è l’incipit del disco, poi entrano
chitarra e basso con un riff molto post modern prog metal, con reminiscenze
che rimandano subito ai Porcupine Tree del genialoide Steven Wilson,
ma il cantato splendidamente melodico conferisce un quid molto personale
al tutto, il primo brano “A Breath Away” ci conquista
subito, per le sue intuizioni melodiche e per la forza intrinseca
delle sue parti strumentali, sorta di poesia moderna che non lascia
indifferenti. L’avvio di “At the Crossroad” è
molto più metallico, il ritmo è pulsante e ossessivo,
costringe a farsi coinvolgere in un ascolto partecipe, poi si apre
una parte meno ruvida su cui si innesta il cantato e si stemperano
le tensioni iniziali, c’è ancora molta poesia in questo
squarcio di anima messa in musica, con nel finale un intreccio melodico
spettacolare. “Reaching For You” è un brano meno
immediato dei precedenti, armonicamente più ricercato con belle
parti ritmiche, ci sono delle intuizioni tutte da godere e alla fine
piace parecchio, anche se è meno penetrante. “Wake Up”
è un braccio di ferro con l’ascoltatore, ci sono soluzioni
decisamente complesse, che faranno la gioia di tutti gli amati del
prog metal più avventuroso, una prova d’orgoglio di questi
musicisti svedesi, che si dimostrano veramente in gamba, ma ci sono
anche aperture melodiche di grande respiro, che faranno sognare gli
appassionati della buona musica prog. “The Final Bow”
invece è aperta con un giro acustico decisamente ispirato,
che pian piano si trasforma in un crescendo, abbastanza classico,
ma anche molto ben fatto. “It Feels Like the End” spinge
ancora più a fondo la voglia di questi musicisti di misurarsi
con strutture complesse e riserva verso la fine del disco uno dei
brani più sorprendenti del lotto, verso la fine il pezzo diventa
molto lirico, perde una parte della sua complessità in favore
di un’accelerata melodica di grande bellezza. Chiude la poetica
“The Journal”, uno spettacolo melodico e davvero non poteva
chiudersi meglio questa piccola gemma di vero prog, che non ha paura
di mostrare tutta la sua voglia di musica.
Sintrinity è un concentrato di buone idee, prog metal post
moderno ovvero uno sguardo sul futuro di questo genere musicale, con
un occhio di riguardo per le belle melodie, cosa chiedere di più?
In effetti per me questo è un disco riuscito, che potrebbe
finire sepolto da tante uscite simili, ma non parimenti ispirate,
ebbe si, la Svezia ha lasciato ancora una volta il segno. GB
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