Se il New Progressive
contemporaneo ha fatto per l’ennesima volta rialzare il capo
ad un genere apparentemente morto, lo dobbiamo soprattutto a gruppi
svedesi come Anglagard, Anekdoten e Landberk tanto per fare alcuni
nomi, mentre dall’altra parte dell’oceano il merito spetta
agli Spock’s Beard dei fratelli Morse. Di Neal, ex cantante
e polistrumentista della band, sappiamo bene il corso che ha intrapreso
abbandonando la band per una dignitosa carriera solista con tanto
di devozione per il cristianesimo. Alan invece è rimasto con
i suoi compagni d’avventura Dave Meros (basso), Nick D’Virgilio
(batteria) e Ryo Okumoto (tastiere).
In questa prima avventura da solista gli Spock’s Beard sono
tutti al suo fianco, compreso il fratello alle tastiere, quasi a volerlo
lanciare al meglio. Mentre Neal ci ha abituati a canti piuttosto prolissi,
al contrario Alan tace, ma fa cantare le sue mani. In alcuni frangenti
sembra quasi di essere ritornati dieci anni addietro, quando il gruppo
faceva gridare al miracolo, oggi questi cambi di tempo e d’umore
non stupiscono più, ma mantengono intatto il loro fascino.
Il ritornello di “Return To Whatever” è l’emblema
dello stile Spock’s Beard. Alan si diverte a lanciarsi in veloci
esercizi per le dita, ma anche in melodie accattivanti e ben pensate,
come nella graziosa “Drive In Shuttle” che ricorda “Devil’s
Got My Throat” tratta dal fortunato doppio “Snow”.
Il disco trasmette allegria, Alan è un personaggio positivo
e sa ben dosare tecnica e cuore. Ci sono momenti davvero di grande
Rock misto a Blues, come in “R Bluz” e nella sofisticata
e toccante “First Funk”. A differenza della maggioranza
dei dischi Progressive, “Four O’ Clock And Hysteria”
non contiene suite e se vogliamo esula in parecchi particolari dalla
maggioranza dei prodotti del caso.
Al basso compare Gary Lunn e alla batteria Scott Willianson, mentre
l’intervento con il violino elettrico è affidato alle
mani di Jerry Godman. Il lato più duro (ma non troppo) di Alan
è descritto nell’elettrica “The Rite Of Left”,
mentre “Chroma” ci espone nuove sonorità, per paragonarle
alle nostrane diremmo alla Perigeo. Davvero emozionante la conclusiva
“Home”.
Questo lavoro solista è più che onesto, un disco di
vera musica senza troppi orpelli, chitarristico ed immediato, dove
i sentimenti si intrecciano come in una scaletta DNA con la tecnica.
Non c’è niente da fare, la famiglia Morse è veramente
toccata da un talento fuori dal comune, lunga vita ai Morse! Amanti
della chitarra, mano al portafoglio. MS
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