I Motorhead sono una vera istituzione del metal, sono nati quando
imperversava il punk e ricordo che all’epoca si trovavano delle
compilation di gruppi con la cresta, fra cui spiccavano anche i brutti
musi di Lemmy e soci, in pratica sono stati un gruppo di transizione,
ma poi negli anni ottanta fu chiaro per tutti che Motorhead significava
solo heavy metal al 100%.
Un suono ruvido e sporco faceva da compendio alla voce sgraziata del
politically scorrect signor Kilmister, un personaggio che ha saputo
incarnare alla perfezione lo spirito ribelle del genere che suonava,
un uomo che nel bene o nel male col suo stile di vita ha mostrato
una coerenza invidiabile. Chi avrebbe mai pensato che un gruppo così
sarebbe arrivato a festeggiare trent’anni di carriera praticamente
ininterrotta?
Oggi come allora le cose non sono cambiate molto, Lemmy sembra essere
sempre quel ragazzaccio mai cresciuto di allora, del resto il suo
motto è: “49% motherfuker 51% son of a bitch”!
La sua voce è sempre più rotta e la sua musica è
sempre sporca e cattiva. In compagnia dei fidi Phil Campbell alla
chitarra e Mikkey Delaoglou alla batteria, il tipico power trio che
spacca, porta ancora avanti con vero orgoglio una tradizione dura
a morire. Ovviamente per un concerto celebrativo non potevano mancare
i classici, quindi troviamo una scaletta degna di un best of, ma che
dico… i Motorhead sono prima di tutto una live band e quindi
questo è il modo migliore per incontrarli. Riffs semplici e
diretti, brani spesso brevi e veloci, rumore, tanto rumore, e poi
c’è tutto il carisma di Lemmy che martirizza il suo basso
Rickenbacker e urla nel microfono i suoi inni deviati. Il drumming
non può che essere selvaggio e Campbell dal canto suo fa il
possibile per inserire assoli degni di nota, del resto Lemmy ha sempre
saputo circondarsi di ottimi musicisti.
È rock ‘n’ roll? È heavy metal? È
rumore? No sono solo i Motorhead, prendere o lasciare. GB
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